“La dislessia non si cura perché non è una malattia. E’ come avere gli occhi verdi o come, nel mio caso, essere negati nel disegno. Nessuno, però, si sognerebbe mai di dirmi che sono disartistica”. Nicoletta Staffa è una psicologa che opera principalmente a Cotignola e che ha lanciato in questi mesi, in collaborazione con il liceo artistico di Ravenna, un ciclo di incontri dedicati ai genitori dei bambini con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa). Sabato 2 marzo alle 9,30, nell’aula magna del liceo (via Tombesi Dall’Ova, 14), si terrà l’ultimo appuntamento, dal titolo “Uno sguardo al futuro”.
Un figlio dislessico che prospettive ha?
“Le stesse degli altri. All’incontro verranno due ragazzi dislessici. Uno si è appena laureato, l’altro sta studiando all’università. Fanno parte del gruppo giovani dell’Associazione italiana dislessia. Girano diverse città per raccontare che con la dislessia si può fare tutto”.
C’è disinformazione sull’argomento?
“Moltissima. Spesso, anche per radio, si sentono battute del tipo ‘Oggi non riesco a parlare, sarò dislessico’. Il problema non è tanto quando si fa riferimento alle difficoltà linguistiche, quanto a quelle cognitive. La dislessia in molte occasioni viene associata a scarsa intelligenza. In realtà è una neurodiversità, una caratteristica dell’individuo, una connotazione, una situazione oggettiva”.
Quindi è sbagliato chiedere se si risolve?
“Sì, è fuorviante. In giro, su internet soprattutto, si trova di tutto: dalle diete alle cure. I genitori sono i primi a cascarci. Sulla dislessia si interviene in altra maniera: sulla letture e la scrittura, per esempio, con strategie che aiutino il ragazzino ad essere più corretto. In aggiunta, ci sono strumenti che possono essere insegnati per rendere il percorso di apprendimento uguale a quello degli altri. Al traguardo ci si arriva, i dislessici si laureano senza problemi”.
Quanti dislessici ci sono ogni cento persone?
“Intorno al 3%. Ma sono solo stime. In Italia non è stata mai fatta una ricerca sulla popolazione”.
I genitori in genere come reagiscono?
“Dipende dal loro stile educativo e da come affrontano in generale i problemi. Ci sono quelli che faticano ad accettare la diversità del figlio e quelli che invece si alleano con lui, cercando insieme la strada migliore. La casistica è varia. Avere una diagnosi certa, comunque, aiuta. E’ un modo per fare punto a capo. Spesso a scuola i dislessici vengono sgridati perché non studiano o non imparano le tabelline, vengono sollecitati ad impegnarsi di più. E i genitori cadono in questa trappola, comportandosi come gli insegnanti. Quando vengono a sapere il problema qual è, tirano un sospiro di sollievo e inizia un nuovo percorso per tutti”.
I dislessici, invece, si rendono conto della difficoltà che vivono?
“Sì, a partire dalla prima elementare. All’inizio però non lo dicono perché non hanno gli elementi per darsi delle risposte. Ma sono consapevoli di non riuscire a fare le cose come gli altri”.
Per informazione info@strategicamenteinsieme.it
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Commenti:
leggendo ci si ritrova in quello che scrive, grazie. Noi genitori siamo disorientati, ignoranti, famelici di risolvere, si percorrono strade sbagliate e l’apprendimento e l’autostima dei nostri ragazzi diminuisce e ci si sente sempre in colpa.
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