Senza più la casa coniugale, senza i figli, senza stipendio. Mentre la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per non avere un sistema giuridico che tutela il diritto alla bigenitorialità, le storie di padri che dopo la separazione si trovano con un pugno di mosche in mano e allontanati dai figli sono all’ordine del giorno. Due anni fa all’Associazione Padri Separati di Bologna (www.padri.it) ha bussato anche un riminese. Lo chiameremo Alessandro: la riconoscibilità in un momento delicato come questo che lo separa dalla sentenza che dovrebbe riconoscere un vero affido condiviso dei suoi due figli di 6 e 12 anni gli potrebbe nuocere. Ebbene sì. Nonostante un anno e nove mesi di sofferenza, questa è una storia che potrebbe definirsi a lieto fine.
Che cosa è successo in seguito alla decisione di sua moglie di separarsi?
“La separazione è arrivata come una brutta sorpresa. Stavamo progettando di ampliare la sua attività commerciale, non avrei mai pensato di essere scaricato. Da un giorno all’altro mi sono trovato a poter vedere i miei figli solo il martedì e il giovedì pomeriggio, fino alle nove di sera, più due fine settimana alternati. In un mese, in pratica, dormivano da me quattro sere”.
Dove è andato a vivere?
“Paradossalmente sopra la mia ex moglie. Quando eravamo sposati vivevamo al piano terra di una villetta. Sopra abitavano i miei genitori. Quando mia madre è morta, l’intera casa è stata intestata a me e a mio fratello. Così il giudice ha stabilito che avrei potuto trasferirmi al primo piano. Dormivo nel soggiorno. E devo ringraziare. Senza il suo aiuto, sarei finito sotto un ponte”.
Difficile arrivare a fine mese?
“Sono un impiegato statale. Tra il mantenimento che dovevo dare e le spese, mi rimanevano al massimo 200 euro”.
Era più facile vedere i suoi figli, visto che abitavano di sotto?
“No, la madre faceva di tutto per non farmeli vedere, me li teneva nascosti. Mi è capitato di essere a casa qualche pomeriggio e di sapere che loro erano giù a non fare nulla. Però mi toccava chiedere di poterli incontrare e mi veniva impedito anche di portarli a fare un giro in bicicletta”.
Loro come l’hanno presa?
“Non saprò mai quanto hanno sofferto ma credo che il più grande l’abbia avvertita di più. Il piccolo aveva quattro anni, forse capiva di meno”.
Sente che è stata lei, quindi, la vera vittima?
“Sì, a livello umano e psicologico per me è stato un dolore grandissimo. La mia ex moglie mi ha anche denunciato per stalking, ha dichiarato che l’ho pedinata e aggredita. Oggi i nostri rapporti restano tesi, per forza di cose ci dobbiamo relazionare ma cerca di ostacolarmi in tutti i modi. Quello che dico o propongo io è sempre sbagliato”.
Però, da qualche mese, le cose vanno decisamente meglio…
“Sì, da dicembre ci occupiamo dei bambini una settimana a testa. Io sono tornato nella casa coniugale e lei è andata a vivere da un’altra parte. Siamo in attesa della sentenza definitiva ma nel frattempo gli accordi presi con gli avvocati ci hanno portati in questa direzione. Io ho ripreso a vivere. Non importa se dobbiamo incontrarci a metà strada per scambiare i libri, i vestiti, le borse di calcio”.
Economicamente, ci sono stati miglioramenti?
“Sì, lei ha rinunciato al mantenimento. Io la sto solo aiutando perché riesca a prendersi una casa”.
La sua esperienza cosa ci insegna?
“Ci insegna che l’affidamento spesso è condiviso solo sulla carta. Nei pomeriggi durante i quali tenevo i miei figli, ero un compagno di gioco, un amico. A volte i miei figli mi chiedevano di andare a giocare a casa dei loro compagni. E io mi limitavo a portarli e ad andarli a prendere. E’ sempre il papà a dover pagare lo scotto di queste situazioni”.