L’allarme del dietista: “Il cibo sta sostituendo tutte le forme di piacere”

Fabrizio Borghetti

Un cucchiaio di cioccolata come consolazione, una fetta di salame per sedare un capriccio. Il cibo, da fonte di energia, si è trasformato sempre più in un’occasione di piacere. Con tutti i rischi, specie per le mamme e i bambini. A sostenere di dover cambiare il rapporto con il corpo e l’alimentazione è Fabrizio Borghetti, dietista, preparatore atletico e personal trainer di Pievesestina (Cesena).
Fabrizio, qual è il motivo di questo ritorno di attenzione su ciò che mangiamo? E’ colpa dei disturbi come anoressia e bulimia?
“Anoressia e bulimia fanno scalpore perché vengono spettacolarizzati. In realtà il vero problema è l’obesità. Molti genitori, spesso a loro volta obesi, vivono con angoscia il fatto che i loro figli possano vivere gli stessi complessi, avere paura ad entrare nei vestiti. Senza contare i danni irreversibili per la salute”.
Una corretta alimentazione è un fatto di educazione?
“Non credo. Il criterio che sta dietro al mangiare bene o mangiare male è individuale. Non è detto che per tutti valga la stessa equazione. Il problema è piuttosto un altro: in questa era culturale il cibo è diventato il sostituto di qualsiasi altro tipo di piacere. Finisce per essere una carezza, un premio per una giornata storta. Non viene più legato alle nostre funzioni fisiologiche. E’ sempre a disposizione e ne cadiamo facilmente vittime”.
La pubblicità ha delle responsabilità?
“No. Se ci fosse una pubblicità spinta sull’utilizzo di sostanze stupefacenti, non avrebbe certo lo stesso effetto. La causa è più psicologica, relazionale. Uno studio di qualche anno fa ha rilevato che 92 donne su 100, tra il piacere sessuale e quello alimentare, scelgono il secondo. L’ho citato anche nel mio ultimo libro ‘Te la do io la dieta’. I genitori diventano i responsabili involontari di un messaggio sbagliato rivolto ai figli, quello secondo cui il piacere passa dalle papille gustative”.
Facciamo degli esempi?
“Ho in mente una scena classica in cui il bambino gioca davanti alla tv, il padre rientra a casa dopo una giornata infernale e propone a tutti di ordinare le pizze, come per dimenticare. Il sabato siamo abituati ad andare al fast food, al ristorante, verremmo guardati storti se dicessimo che ceniamo con il merluzzo. E i nostri figli sono abituati a questo sistema mentale: se sono stati bravi si aspettano una caramella, un cioccolatino”.
Fino a che estremi arriva, questa mentalità?
“Le case farmaceutiche inventano farmaci che riducono gli effetti collaterali del cibo, assorbendo per esempio i grassi, perché sanno che noi non ci controlleremo, non ne faremo a meno. Del resto, quando andiamo a cena fuori, mentre mangiamo pensiamo già a dove andremo il sabato dopo”.
In confronto agli Stati Uniti, l’Italia a che punto è?
“Noi in vent’anni abbiamo combinato quello che loro hanno  fatto in ottanta. Se ci fermiamo a pensare, scopriamo che loro, a livello di ricorrenze intorno ad una tavola, hanno solo il Giorno del Ringraziamento con il tacchino ripieno. Noi no: abbiamo la colomba, l’uovo di Pasqua, il panettone, il pandoro. Siamo riusciti ad inventarci un dolce anche per il giorno dei morti, le fave dolci. Alcuni pazienti mi dicono che non possono mettersi a dieta prima dell’estate perché poi faranno fatica ad evitare gelati e aperitivi. Ma il problema si ripresenta dopo l’estate perché arriverà Natale. Poi ci sarà Pasqua e poi daccapo, il ciclo ripartirà”. 
Possiamo raggiungere un equilibrio per cui il cibo sia fonte di energia ma anche piacere, senza che questo comprometta la nostra salute?
“Un compromesso non c’è. Bisognerebbe tornare indietro, consapevoli che il cibo non serve a sollazzarci il palato ma a vivere, come bere e respirare”.

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