Chiamarla carta straccia è forse troppo. Ma per Chiara Lalli, filosofa e bioeticista, la legge 194 sull’aborto, che oggi compie 35 anni, resta una “promessa non mantenuta”. A causa dell’obiezione di coscienza soprattutto, che in molti ospedali italiani, dal Nord al Sud senza distinzioni, di fatto non ne garantisce l’applicazione. Nei libri “C’è chi dice no” (Il Saggiatore) e “La verità, vi prego, sull’aborto” (Fandango) la studiosa denuncia a chiare lettere un paradosso tutto italiano, tornato di recente sulle cronache viste le proteste dei movimenti prolife contro un diritto di scegliere conquistato dalle donne nel lontano (o vicino?) 1978.
Chiara, come dobbiamo interpretare questa deriva antistorica?
“Ci sono diverse ragioni, tra cui una maggiore ostinazione delle forze conservatrici e ultraconservatrici nell’avvicinarsi a queste questioni e nell’appropriarsi di parole come ‘vita’, relegando gli altri a doversi scusare, come fossero a favore della morte. Senza contare che la cultura dei consultori non è avanzata”.
Nei tuoi libri hai raccontato storie di donne costrette a subire in maniera drammatica le conseguenze dell’obiezione di coscienza, tra cui la mancata assistenza post-aborto. È possibile tutto questo in un Paese avanzato come il nostro?
“No, ma il problema di casi di cronaca a dir poco osceni è legato ad una legge che stabilisce un servizio e allo stesso tempo fissa le condizioni per sottrarsene. E si finisce presto fuori dalla legge: è di questi giorni la denuncia di una donna ad un medico che non l’ha assistita per un’emorragia post-aborto. Qui c’è un problema legale”.
Come si potrebbe garantire la piena applicazione della 194?
“La risposta più estrema è ipotizzare che ad un ginecologo non venga data la possibilità di obiettare, visto che si occupa di salute procreativa. Ci sono anche strade intermedie, come una maggior responsabilizzazione dei direttori di reparto o l’istituzione di registri specifici: una donna ha il diritto di sapere quanti medici obiettori ci sono in un dato ospedale. I dati che esistono sono aggregati per regione o provincia, non basta. A Roma si sa per esempio che dieci strutture pubbliche su 31 non eseguono aborti, è un dato della Laiga, che ha fatto un’indagine sul Lazio”.
E c’è un altro problema: i medici non obiettori sono come abbandonati a se stessi, costretti a praticare solo aborti, visto che sono così pochi…
“Purtroppo sì. Al San Giovanni di Roma Paola Lopizzo è l’unica ad eseguire aborti tardivi. Non c’è un’equipe che la sostenga, che condivida il lavoro. Non a caso in molte province la possibilità dei tardivi non esiste”.
Si rischia la perdita di una competenza medica che va oltre l’interruzione volontaria di gravidanza?
“Certo. Il problema della formazione è evidente. I medici potrebbero trovarsi a non saper gestire ed affrontare nemmeno gli aborti spontanei”.
Molti anti-abortisti portano avanti la causa della difesa dell’embrione: è un argomento vecchio o nuovo?
“È un nuovo giochino retorico. Quando l’interruzione volontaria di gravidanza fu depenalizzata, a nessuno importava nulla di difendere l’embrione. Prima si parlava di conservazione della stirpe, un argomento fascista che nulla c’entrava con l’idea che la donna uccida il proprio figlio. Parole come omicidio e inestinguibilità del rimpianto servono solo a rinforzare il senso di colpa: un nuovissimo e luccicante tema paternalistico e niente di più, che cozza contro l’autodeterminazione”.
La donna come essere naturalmente portato a partorire ed essere madre quanto c’entra?
“Moltissimo. Sta tornando in auge l’idea che la donna sia per sua costituzione madre. Ma invito a riflettere sul fatto che molte donne scelgono di abortire, pur avendo già dei figli. Impossibile controbattere”.
La 194 difendeva in effetti la possibilità di una donna di scegliere…
“Esatto, chi difende la 194 non è un abortaro psicopatico, un fanatico dell’aborto ma è a favore del diritto della donna di scegliere. Se la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza fosse stata considerata un punto di inizio e non un punto di chiusura, oggi non saremmo in questa situazione”.
Il blog di Chiara Lalli è qui
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Commenti:
L’obiezione di coscienza è anch’essa legge, e diritto civile inviolabile. Pensi la Lalli, rispetto alla “194”, come anche il genocidio ebraico fosse una “legge”! Pensi se nelle leggi razziali fosse stata prevista l’obiezione di coscienza, quanti milioni di esserei umani si sarebbero salvati!
ma anche la tutela della salute della donna e della sua libertà di scegliere in merito ad essa è un diritto parimenti tutelato. il punto non è tutelare quelle donne che abortiscono solo per capriccio (e in questo la legge 194 è piuttosto chiara) ma prima di tutto quelle donne la cui salute può essere messa in pericolo da una gravidanza o che hanno concepito in circostanze violente e senza consenso (stupro). queste donne hanno diritto ad essere tutelate rispettando la loro scelta all’aborto. se le strutture ospedaliere non possono garantirlo non ci troviamo davanti solo ad una violazione di legge ma piuttosto alla violazione di un diritto.
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