Le due maestre arrestate a Roma riaccendono i riflettori sul tema dei maltrattamenti subiti dai bambini in ambito scolastico. Casi rari ma che ogni volta – per la loro gravità – scatenano reazioni pesanti. Ma come fa un genitore ad accorgersi che qualcosa non va? Ricette pronte non ce ne sono: lo dice Ernesto Sarracino, pedagogista di Ravenna e coordinatore in alcuni servizi.
A quali segnali dobbiamo fare attenzione?
“Soprattutto agli sbalzi d’umore che perdurano nel tempo, a comportamenti scostanti. E che comunque non è detto che siano legati a fatti gravi. Pensiamo ad un trasloco: per un bambino è destabilizzante. L’importante è che i genitori si facciano delle domande”.
E’ utile confrontarsi con i genitori dei compagni di classe del proprio figlio?
“Sì, anche se il rischio è di autoalimentare il pregiudizio. Mi è capitato diverse volte che gruppi di genitori si coalizzassero, convinti che ci fosse una criticità che invece non esisteva”.
La realtà, quindi, è facile che venga travisata?
“Molto facile. Cadere nell’equivoco è più frequente di quanto si pensi, anche perché i bambini possono inventare quello che vogliono: la fantasia è il loro mestiere e non hanno consapevolezza delle conseguenze delle loro parole. Alcuni bambini, soprattutto alla scuola dell’infanzia, raccontano che i genitori sono morti anche se non è vero”.
Un adulto deve fare domande al bambino, quando sospetta qualcosa di grave?
“No, riempire il bambino di domande vuol dire creare in lui aspettative che non è in grado di soddisfare. Bisogna prediligere l’ascolto”.
Però è normale che una mamma o un papà, se intravedono un disagio, perdano la testa…
“E’ legittimo imbufalirsi, è il minimo che un genitore possa fare. Ma la questione è delicata, può succedere di farsi un film”.
Capita anche di avere un giudizio positivo di un’insegnante che invece non lavora bene?
“Sì, proprio stamattina in radio sentivo le testimonianze dei genitori della scuola di Roma: rispetto alla maestra arrestata c’era sempre stata una percezione ottima, tutti erano convinti che fosse brava e rigorosa. E invece…”.
Com’è possibile che un’insegnante arrivi a tanto?
“Una giustificazione non c’è, una spiegazione in parte sì: il lavoro di un’insegnante in un servizio 0-6 anni è usurante e devastante dal punto di vista emotivo. In molte Regioni c’è l’obbligo di formazione continua e esiste la figura del coordinatore pedagogico, che deve occuparsi anche di far stare bene il gruppo di lavoro, di valorizzare le competenze degli insegnanti”.
Lei, da coordinatore pedagogico, si accorgerebbe di situazioni così borderline?
“Un’insegnante non maltratterebbe mai un bambino davanti a me, ovvio. Ma posso accorgermi di alcuni segnali allarmanti e prendere delle precauzioni”.