Come vive il proprio ruolo di genitore un papà in carcere? Che cosa sa, il figlio, della sua detenzione? Desirée Monciardini, counsellor del Centro per le famiglie di Rimini, usa l’aggettivo “commovente” quando racconta l’esito del progetto “Padri al di là delle sbarre” sperimentato nel gennaio di quest’anno al carcere di Rimini. Progetto che sarà raccontato questa sera alle ore 20,30 nella sede del Centro (piazzetta dei Servi, 1) durante l’incontro “Madri ristrette: la maternità e il carcere” organizzato dall’Associazione Papillon nell’ambito del Mese delle Famiglie.
Da quale idea nasce il vostro intervento sui papà carcerati?
“Banalmente, dall’idea di far passare loro qualche momento piacevole e spensierato con i figli durante alcune ricorrenze. Per la Festa del Papà, per esempio, i detenuti hanno lavorato alla realizzazione di vasetti di terracotta, dentro i quali far crescere una piantina. Uno è rimasto a loro, l’altro è andato ai rispettivi figli. Fare crescere qualcosa insieme, anche se a distanza, è un bel messaggio”.
Che difficoltà ci sono nel tenere in vita legami così stretti perché familiari, quando di mezzo ci sono le sbarre?
“Prima di tutto abbiamo notato una forte difficoltà dei detenuti nel ragionare e riflettere sulla propria condizione, nello sviluppare un meta pensiero. Inoltre, spesso ai figli viene detto che il papà è lontano, che è via per lavoro, che è andato all’estero. Questo non aiuta di certo”.
Come siete intervenuti?
“Con strumenti adeguati, come il role playing, il brain storming. Abbiamo proposto la visione di alcuni film come ‘Billy Elliot’ e ‘Quasi amici’, dai quali sono scaturite diverse riflessioni e discussioni. È stato utile perché parlando dei protagonisti di un film, commentando una vicenda terza, i detenuti non si sono dovuti esporre in prima persona ma hanno lo stesso tirato fuori i loro stati d’animo, i loro disagi”.
Per esempio?
“Il tema dell’etichettamento sociale è emerso in maniera evidente. Chi è in carcere si sente marchiato, e per questo discriminato. Questo si ripercuote anche sul rapporto con i figli. Abbiamo ripreso la lettera che la madre di Billy Elliot manda al figlio, quella in cui scrive che non l’ha visto crescere ma che è sempre stata al suo fianco. I detenuti l’hanno completata con i propri pensieri e data ai loro figli”.
Sono tutti padri di bambini piccoli?
“No, i tredici detenuti che hanno partecipato al progetto hanno età diverse, all’incirca tra i 35 e i 60 anni. Un paio sono nonni. Uno, durante il nostro intervento, è diventato papà per la seconda volta”.
Qual è stata la vostra sorpresa come operatori?
“C’è stata innanzitutto, da parte dei detenuti, una grandissima accoglienza. E poi tanta attenzione, tanto confronto, tanta attesa, tanto ascolto e tanta voglia di migliorare. Io andavo alle 10 di mattina del martedì e stavo con loro fino alle 13. Una mattina i detenuti si erano alzati presto perché volevano che la parmigiana di zucchina fosse pronta prima del mio arrivo”.
Qualcuno aveva già partecipato ad un’esperienza simile?
“Uno aveva partecipato ad un’esperienza simile a Milano, con Gherardo Colombo. Tutti, in ogni caso, sono abituati all’attività artigianale, che noi abbiamo scelto di sposare, per esempio facendo costruire dei salvadanai per i bambini. Ci siamo inseriti in un percorso già avviato e portato avanti quotidianamente, all’interno del carcere, dalla Caritas”.
E ora che ne sarà, di “Padri al di là delle sbarre”?
“Continuerà a partire da novembre con un lavoro dedicato alla narrazione di sé. Copriremo il Natale e la Festa del Papà del 2014. Il nostro scopo è l’alfabetizzazione emotiva. Un esempio? Il bambino inizia la scuola e il padre non può accompagnarlo, non può andare a prenderlo né fare i compiti con lui. Ma è comunque possibile condividere le emozioni dei primi giorni, la fatica di stare tante ore davanti al banco, la paura per un ambiente nuovo”.
L’investimento che il Comune di Rimini ha incanalato attraverso il Centro per le famiglie da chi è stato supportato?
“Innanzitutto dallo Sportello Carcere a cura dell’associazione Madonna della Carità, per la parte del progetto relativa ai laboratori espressivi e manuali. E poi dall’Asl. La loro competenza socio-sanitaria si è unita alla nostra di sostegno alla genitorialità per un progetto davvero virtuoso”.
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