Quando ha guardato la prima volta sua figlia, Raffaella Piazzi l’ha trovata splendida ma con talmente tante rughe in fronte da assomigliare a Mister Magoo, il personaggio dei cartoni animati. A distanza di anni, quando insieme ad altri genitori si è staccata dall’associazione Smile per crearne un’altra, non ha potuto che chiamare la sua onlus “Gli Amici di Magù”. Un punto di riferimento per le famiglie con bambini affetti da labiopalatoschisi, in gergo labbro leporino, non solo a Bologna (dove ha sede) ma in tutto il territorio nazionale. Il gruppo Facebook ha più di 1.100 iscritti. Lì gli scambi di informazioni, le richieste di aiuto, le segnalazioni sono all’ordine del giorno. La Lps, del resto, colpisce un nato ogni 800. Di famiglie coinvolte ne esistono parecchie.
Raffaella, siete riusciti a far firmare alle istituzioni sanitarie il primo documento in Italia sul percorso diagnostico e terapeutico aziendale sulla labiopalatoschisi. Che cosa non andava?
“Quando nasce un bambino con Lps il genitore si trova solo, senza indicazioni, costretto a barcamenarsi nell’anarchia più totale. Contatta decine di specialisti, oppure non sa a chi rivolgersi. Disorientato com’è, rischia di fare errori che si ripercuotono sia sulla salute del bambino che sull’organizzazione familiare. Perde tempo, spreca soldi”.
Un esempio di questa “giungla”?
“La Lps, soprattutto nel periodo in cui il bambino subisce i trattamenti chirurgici, va considerata come un handicap. A me nessuno l’aveva detto. L’ho scoperto quando mia figlia aveva cinque anni. L’informazione, in questi casi, lascia molto a desiderare. Oppure prendiamo il momento successivo al parto: il bambino veniva catapultato in neonatologia per un check-up teso a verificare che non ci siano altre sindromi. Oltre allo shock per la Lps, la mamma era costretta a subire il trauma di un distacco così immediato. Qualcosa, grazie al nostro protocollo, sta cambiando: al neonato viene fatta una prima valutazione. Ancora, il post-chirurgico: dopo essere stato operato, il bambino va seguito da un logopedista, da un foniatra, da un ortodenzista. In tutto questo il genitore va indirizzato”.
Il bambino con Lps in genere è sano?
“Ci sono due tipi di Lps. La prima è isolata, significa che il bimbo è sano come un pesce ma nasce con il labbro, il palato o entrambi aperto. La seconda è sindromica: vuol dire che il bambino presenta una gamma variabile di altri disturbi, dal ritardo evolutivo alla sindrome di Down, solo per citare qualche esempio. Qui la casistica è davvero infinita. Per quanto riguarda l’isolata, davvero il bambino può tornare ad avere una vita normale”.
Come la tua bimba?
“Sì, oggi ha dieci anni. L’hanno operata a sei mesi e diciotto mesi, dopodiché ha fatto logopedia per migliorare il linguaggio: i bimbi con Lps tendono a fare uscire aria dal naso, la produzione dei suoni quindi non funziona bene. Il nostro è un caso fortunato: nessuna conseguenza sull’udito”.
Quando sono piccolissimi, invece, quali problemi hanno i bambini con Lps?
“All’inizio il grosso ostacolo è la suzione. Anche se restano attaccati al seno, succhiano male. Anche su questo fronte si gioca la nostra battaglia: un bimbo in queste condizioni non può essere trattato al pari degli altri. Potrà anche avere avuto un indice Apgar altissimo alla nascita ma va monitorato. Pensiamo all’ansia di una mamma che sa che non inghiotte latte e che non cresce”.
Le mamme vi contattano anche quando sono ancora in gravidanza?
“Sì, anche se non sempre la Lps si riesce a vedere con la morfologica. Io, per esempio, l’ho scoperto con l’ecografia del settimo mese. Spesso il bimbo ha la manina davanti alla faccia, se invece ha solo la Palato Schisi è quasi impossibile vedere all’interno della bocca. In chi lo copre prima del parto, in ogni caso, si scatena una grande ansia: nessuno ti dice quanto è grave, quanto osso manca, di quanto si è spostato il naso. Alcune donne scelgono di interrompere la gravidanza. Una scelta assolutamente personale che però a volte potrebbe essere evitata in presenza di informazioni corrette”.
Vi è capitato?
“Sì, una donna ha scoperto la nostra associazione solo dopo aver abortito. Avevano diagnosticata la Lps a suo figlio al quinto mese di gestazione e aveva solo tre giorni per decidere per l’Ivg. Presa dal panico, senza un indirizzo e con il tempo contato, ha deciso per la soluzione più estrema. Il fai da te è drammatico, assurdo. Siamo arrivati lunghi”.
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