“Tua madre è morta? Mi fa piacere”: i rischi (ma anche i vantaggi) dei social secondo Psiche Digitale

Basta nostalgia, basta dire “ai miei tempi…”. Gli adulti devono rimboccarsi le maniche e pensare ad una vera educazione dei figli all’utilizzo delle nuove tecnologie. A sostenerlo è lo psicologo psicoterapeuta Francesco Rasponi, tra i fondatori dell’associazione culturale Psiche Digitale di Cesena. L’esperto sarà ad Happy Family sabato 1 marzo alle 10 insieme all’educatore e attore Manuele Rossitti per l’incontro “Voglio dire la mia! Quale educazione all’uso di cellulari, social media e videogiochi”.
Dottore, tra I-pad e smartphone i genitori come si pongono? Controllano?
“Dalla mia esperienza direi che operano uno scarsissimo controllo. Acquistano il telefonino ai figli quando hanno solo dodici anni, sono i primi a volere che i ragazzini ce l’abbiano sempre dietro. Ma dimenticano che si tratta di veri computer portatili”.
Parlare di abusi e dipendenze è corretto?
“No, in campo adolescenziale si tratta di un uso non patologico, semmai eccessivo, che da un lato va tollerato ma dall’altro contrastato con strategie educative che in realtà, al momento, né i genitori né la scuola adottano. Proprio a scuola stiamo lavorando con alcuni progetti nelle prime classi delle superiori di Cesena. Parliamo con i ragazzi, chiediamo loro se hanno mai parlato di Facebook con qualcuno: rispondono sempre di no. Ma hanno piacere di condividere con gli altri la loro esperienza. Noi psicologi amiamo dire che è bene creare un pensiero attorno ad un’esperienza. Se sulle cose che viviamo riflettiamo, riusciamo a gestirle meglio: è quello che cerchiamo di fare con gli studenti”.
Per capirli, quindi, non si può prescindere da una conoscenza di tutto quello che viaggia su uno schermo…
“Sì, l’adulto deve sapere, sennò non sa dire la sua. E non può rendersi conto se i social network e i cellulari sono a servizio dello sviluppo dei propri figli o costituiscono invece una minaccia”.

adolescenti e web: ma voi genitori quanto ne sapete?

Lei una risposta ce l’ha?
“Io credo siano momenti di crescita. Il problema sul quale spesso ci si sofferma, cioè il tempo eccessivo di utilizzo da parte dei ragazzi, secondo me non è il centro della questione. Dobbiamo chiederci che cosa sta facendo nostro figlio su Facebook, che videogioco è quello che ha in mano”.
Da quando deve partire la prevenzione?
“Da subito, da quando nascono. Io ho un bambino di tre mesi e mezzo, ora ci guardiamo le Olimpiadi ma già mi faccio molte domande sulla sua esposizione allo schermo. Il clou è alla fine delle elementari, quando bisogna davvero attivare le antenne”.
Che rischi si corrono?
“I social possono fare male, sono luoghi dove i ragazzi si presentano, si mettono in vetrina. Ultimamente è di moda Ask.fm, che dà la possibilità di inviare messaggi anonimi. Gli studenti mi raccontano di insulti di una cattiveria imbarazzante. Ad una ragazza che ha perso la madre qualcuno ha scritto che gli faceva piacere. Ad un’altra, adottata, hanno detto che è una senza famiglia. Senza contare la pubblicazione di foto che minano la reputazione dei ragazzini. A scuola, insieme al collega Manuele Rossitti, stiamo sperimentando la forma teatrale: gli studenti prendono delle situazioni critiche e le drammatizzano, interpretandole. Un metodo di una potenza incredibile”.
Ora, invece, devono svegliarsi i genitori?
“Sì, quelle dei nostri figli sono vite davanti ad uno schermo. Il 10 maggio, nell’aula magna della biblioteca di Cesena, insieme all’Ausl e all’Università organizzeremo un convegno il cui titolo provvisorio è ‘Adolescenti e vite virtuali: a quando una vera educazione da parte degli adulti?‘.

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