shapeimage_4C’è chi mette l’allarme di modo che i figli non entrino nella camera dei genitori. C’è chi la stanza e il lettino per il bebè non ce li ha nemmeno. Ma alla fine, dormire con i bambini, fa bene o fa male? Per Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale e autrice del libro “E se poi prende il vizio?” (Il leone verde) bisogna sgomberare il campo dai pregiudizi culturali. Perché il tema del co-sleeping, oltre che scientifico e quindi pediatrico, è soprattutto di natura culturale.
Dottoressa, i genitori in genere si dividono tra la scuola di pensiero favorevole al lettone e quella contraria. Ci sono studi che ci danno un’indicazione più precisa?
“Partiamo dalle culture del mondo, che nel 95% dei casi hanno un accudimento basato sul contatto fisico: la vicinanza del corpo dei genitori con quello del bambino è considerata una risorsa. Da noi non è così: nei Paesi più evoluti e cosiddetti civilizzati il distacco è considerato normale soprattutto a partire dagli anni Sessanta, quando con l’avvento del latte artificiale i bambini sono stati allontanati dal corpo delle mamme. Poi bisogna considerare il punto di vista dei pediatri, che purtroppo non è univoco: in Italia si dividono tra i comportamentisti, quelli convinti che i comportamenti infantili vadano in qualche modo pilotati, e quelli che danno valore all’istinto dei genitori”.
Insomma, una grande confusione: il suo punto di vista qual è?
“Non mi piace parlare di quello che penso io, preferisco raccontare ciò che è stato o non è stato studiato. Le evidenze scientifiche negano l’esistenza di problemi di tipo psicologico o fisico nei bambini che dormono nel lettone o nella stanza dei genitori. L’eccezione riguarda le prime otto settimane di vita, quando c’è il rischio di morte in culla. Dopo, esistono norme di sicurezza per evitare i rischi. Non solo: nelle famiglie che praticano il co-sleeping, che può essere room-sharing o bed-sharing, i disturbi del sonno dei bambini sono minimi. Questo ci porta a dire che non avrebbe senso non adottarlo. L’importante è che la scelta dei genitori sia libera, non condizionata e condivisa all’interno della coppia. Se si sceglie il lettone, lo si deve fare con il sorriso sulle labbra”.
I disturbi del sonno non possono sopraggiungere più tardi, quando il bimbo viene portato nella sua stanza?
“No, a livello fisiologico ci vogliono tre anni prima che il sonno del bambino sia simile a quello dell’adulto. Una volta superato lo scoglio dei tre anni, se il bambino ha sempre dormito con i genitori lo farà anche nel suo letto. Le mie figlie sono un esempio: la grande, che oggi ha nove anni e mezzo, quando ne aveva quattro un giorno ha detto ‘basta genitori’ e ha scelto di dormire nella sua camera. Idem la seconda, che ha sei anni: continua a dormire di sasso a prescindere”.
C’è chi obietta, però, l’acquisizione di una scarsa autonomia dei bambini…
“Anche qui va sfatato un luogo comune: che i bambini acquisiscano autonomia attraverso il distacco non è un metodo provato scientificamente. Lo stesso Esitivill del famoso metodo ‘Fate la nanna’ non cita ricerche e non ha una riga di bibliografia nel suo libro. Bowlby, il teorico dell’attaccamento, disse in un’intervista, a proposito del co-sleeping, che o si segue la natura umana o la si combatte. Se la si combatte si hanno problemi. Se non la si combatte la vita è molto più confortevole. Dormire insieme o accanto ai bambini non mina, anzi favorisce l’autonomia. Se lo dice Bowlby, significa che siamo in una botte di ferro. Questo non significa che i genitori non diano regole”.
E come la mettiamo con l’intimità della coppia, già compromessa dall’arrivo di un bambino?
“Gonzalez, autore del libro ‘Besame mucho’, dice che dopo i parti della moglie non poteva certo pretendere che la vita fosse la stessa di prima: accettarlo era un atto d’amore, al pari di avere dei figli. Se ci sono coppie che vivono una difficoltà nella ripresa della vita sessuale, non si può dare la colpa ai bambini: il problema, anzi, andrebbe affrontato durante la gravidanza. La coppia si separa lo stesso, se si doveva separare: non bisogna puntare il dito contro il lettone. E la coppia, comunque, può vivere la propria intimità in altri spazi della casa, in altri momenti. L’importante è comunicare”.
Una modalità che viene spesso meno?
“Sì, soprattutto quando la mamma è sola, il papà riprende il lavoro subito dopo la nascita e anche una doccia, per la donna, diventa una chimera. La comunicazione finisce all’ultimo posto e si creano malintesi. Io, nei miei corsi, cerco sempre di incentivarla: ogni coppia, poi, trova la sua modalità”.
Il co-sleeping, però, da alcuni viene smontato anche per un altro motivo: si dice che il bambino, dalla stanza dei genitori, non ne uscirà più…
“Anche qui siamo davanti ad una impasse culturale. I genitori devono sapere che i bambini, prima o poi, staranno scomodi. Che quando saranno in grado di dormire tutta la notte, non avranno problemi a farlo da un’altra parte. Sono ovviamente dinamiche graduali. Ma logiche, intuitive”.

A questo link la pagina Facebook del Movimento Psicologia Perinatale che anche Alessandra Bortolotti sta contribuendo a fondare