Lasciare i figli per il lavoro: ecco come fa una “badante”

Marinela Chiochina
All’associazione Romania Mare-Casa Insieme (foto di Giampiero Corelli)

 

Marinela Chiochina
Marinela Ciochina

Ma come fa una mamma a lasciare i suoi figli per trasferirsi a lavorare in un altro Paese? Ma come lo vivono, le “badanti”, quell’allontanamento? Il problema è serio, complesso e sta assumendo con il tempo risvolti sanitari di non poco conto. Ce lo racconta Marinela Ciochina, presidente dell’associazione Romania Mare – Casa Insieme, un punto di riferimento per tutte quelle assistenti familiari che si trovano catapultate in una realtà estranea, alle prese con un lavoro che Marinela definisce “usurante” e “stressante”. Ce lo racconta in occasione di una foto di gruppo che il fotoreporter Giampiero Corelli ha organizzato per domenica 13 aprile alle 14,30 ai Giardini Speyer di Ravenna (viale Farini) in vista di una pubblicazione che sarà realizzata insieme alla giornalista Carla Baroncelli. Un libro di immagini e storie di badanti, per raccontare quello che di loro non si vede e non si sa, i loro viaggi e i loro percorsi, i loro disagi e i loro dolori: “Spesso queste donne non hanno un’identità forte, e lo scopo di questa grande foto di gruppo è fare sentire le loro voci, dare loro un volto. Ma fare vedere anche che sono parte di questa città: ecco perché abbiamo invitato anche le donne di Ravenna”.

Marinela è stata a sua volta badante, diciotto anni fa: “Allora i miei figli avevano 14 e 6 anni, fu straziante lasciarli in Romania per partire. Sono stata una delle fortunate: in poco tempo sono riuscita a portarli in Italia e poi sono diventata mamma per la terza volta. Ma conosco il dolore che si prova quando si va a letto la sera e si è sole, quando ti chiamano per dirti che tuo figlio non sta bene e tu non puoi farci niente”. Marinela lo riscontra oggi nelle donne che aiuta all’associazione, in via Maroncelli: “Vanno in panico per qualsiasi cosa, senza contare che molte di loro fanno cure anti-depressive. Sono donne con lavori pesanti, che spesso vanno avanti 24 ore al giorno. Non sempre sono ben integrate nelle famiglie che assistono. Il loro è un disagio emotivo forte. Non a caso si comincia a parlare di sindrome della badante“. Dall’altra parte, nei Paesi d’origine, i bambini lasciati dalle mamme che vengono a lavorare in Italia sono detti “orfani bianchi”: “Anche loro soffrono da morire. Anche se sono seguiti da altre figure familiari, il fatto di essere abbandonati dalle mamme prima o poi si ripercuote sui loro equilibri, soprattutto durante l’adolescenza”.

Per tutto questo l’associazione avrebbe bisogno di ripristinare una presenza assidua della psicologa, che dia un sostegno alle donne che vivono difficoltà quotidiane. Un esempio? “Durante le feste vanno in crisi, per loro è un momento terribile in cui la lontananza da casa si fa più insopportabile. Senza contare lo sfruttamento al quale alcune di loro sono costrette: non è raro che siano senza contratto, che le famiglie lo neghino perché tanto un’altra badante disponibile la trovano. E senza contratto, non hanno la tessera sanitaria”.

Ma per implementare più servizi, servono finanziamenti: “Finora ci ha dato un sostegno la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Ma abbiamo sempre meno risorse, è difficile anche pagare l’affitto. Per sviluppare progetti ci serve una mano”. La crisi è anche nel campo del lavoro delle badanti: “Non c’è lavoro per tutte, anche se così sembra. La disoccupazione è un problema anche in questo caso. E sarebbe bene dire che anche alcuni uomini sono disposti a fare il lavoro delle badanti, alcuni qui a Ravenna siamo riusciti ad inserirli: nelle attività di cura sono bravissimi. Ma in genere sono le donne a partire dai Paesi dell’est perché sono quelle che trovano più facilmente un’occupazione. Partono perché sennò morirebbero di fame, perché non hanno un’alternativa, perché devono pagare l’università ai figli”.

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