A cura della dottoressa Roberta Bongiorni del Poliambulatorio Higea Medical
La terapia familiare sistemico-relazionale mira alla risoluzione del problema in tempi brevi ed è l’intervento di elezione quando il disagio, che può riguardare in maniera diretta anche un solo componente del nucleo, adulto, bambino o adolescente, si ripercuote sulla famiglia mettendone in crisi l’equilibrio.
Le difficoltà specifiche si possono esprimere attraverso canali diversi: sintomi psichici, comportamentali, somatici di un componente, disagio familiare o/e elevata conflittualità e segnalano problematiche all’interno del nucleo che necessitano di essere affrontate tempestivamente e risolte in modo adeguato.
Di fronte alla necessità della famiglia di superare il disagio che sta sperimentando, la terapia familiare sistemico-relazionale è il trattamento d’elezione per apportare un cambiamento nella situazione in atto.
Nella terapia familiare, il problema che la famiglia porta in terapia viene contestualizzato e compreso nel suo significato alla luce di più livelli di osservazione: quello delle relazioni che in essa intercorrono, della sua storia evolutiva, della fase che si sta attraversando, delle storie personali dei suoi componenti e delle famiglie d’origine.
Il percorso di terapia familiare è volto ad eliminare le difficoltà, intervenendo sulle dinamiche interattive disfunzionali in atto e facendo leva sulle risorse e potenzialità latenti della famiglia per condurla alla soluzione delle problematiche e ad un nuovo equilibrio che possa consentire il benessere personale dei suoi membri e quello dell’intera famiglia.
La terapia familiare sistemico-relazionale è molto indicata per le difficoltà della coppia coniugale, della famiglia e per i disagi dell’infanzia e dell’adolescenza.
E’ infatti possibile comprendere il significato di una difficoltà in età evolutiva, sia espressa in termini comportamentali che psichici o/e somatici, attraverso la conoscenza dei contesti nei quali il bambino, o l’adolescente, è calato e le dinamiche relazionali che sostengono o amplificano il disagio intervenendo su esse.
All’inizio di ogni terapia, il terapeuta formula, congiuntamente alla famiglia, il “contratto terapeutico”, un accordo inerente a obiettivi terapeutici, durata approssimativa della terapia, cadenza delle sedute e onorario.
Attualmente nell’immaginario collettivo è ancora molto diffusa l’idea del ricorso allo psicologo come “ultima spiaggia”: spesso solo quando si avverte di aver esaurito tutti i tentativi di soluzione del problema e prevale la confusione mista all’incertezza, si affaccia nella nostra mente il pensiero di ricorrere all’aiuto di uno psicoterapeuta.
L’inizio di una psicoterapia a volte viene erroneamente vissuto come la certificazione del passaggio da una condizione normale ad una condizione patologica, che necessita di una “cura”.
Questa convinzione fa riferimento ad un atteggiamento che tende ad assimilare la professionalità dello psicoterapeuta a quella del medico, circoscrivendo il suo ambito di competenza esclusivamente alla patologia.
Questo modo di pensare ha notevolmente favorito la difficoltà ad accettare gli aspetti della propria personalità che giudichiamo “anomali” solo perché non coincidono con la rappresentazione ideale alla quale cerchiamo di assomigliare, in altre parole, noi ci percepiamo diversi da come vorremmo essere e, da questa distanza tra il sé ideale e il sé reale, deriva una sensazione di inadeguatezza che spesso è alla base del disagio o della sofferenza.
Ad esempio, una persona che sta affrontando una separazione/divorzio, non necessariamente presenta disturbi psicopatologici, ma ciò non esclude che egli possa ugualmente aver bisogno di uno specialista che l’accompagni durante una fase significativa della sua storia personale. Il confronto con lo psicoterapeuta offre l’opportunità di vivere un’esperienza emozionale correttiva, di avere uno spazio “protetto” (rapporto con il terapeuta), nel quale poter sperimentare modalità relazionali efficaci, che poi potranno essere utilizzate nell’affrontare le difficoltà che ciascuno di noi vive all’interno delle relazioni significative della la propria storia.
Se è vero che si apprende dall’esperienza, perché il processo comunicativo possa dirsi terapeutico bisogna che il terapeuta si ponga per il cliente come opportunità di fare un’esperienza diversa rispetto a quella (o quelle) che lo portarono ad imparare a stare al mondo …male, troppo per potere,come si suol dire, andare avanti così.
Dire un’esperienza diversa è come dire un’esperienza tale da permettere di imparare qualcos’altro rispetto a quello che è stato imparato fino ad oggi ai vari livelli, sui quali ognuno di noi si dibatte per stare al mondo: quello cognitivo (io penso così perché…), quello emotivo (sento che …provo questo perché…).
Rivolgersi ad uno psicoterapeuta significa essere accompagnati in un viaggio di esplorazione nel nostro mondo interiore, incontrare la propria sofferenza che finalmente troverà uno spazio e un luogo in cui essere ascoltata, accettata, compresa e che,“illuminerà” quelle parti di noi di cui non siamo pienamente consapevoli e, grazie alle quali, è possibile trovare nuove chiavi di lettura della propria storia.
A volte durante la nostra vita ci sono delle “battute d’arresto”, momenti in cui avvertiamo una “dissonanza” tra la nostra esperienza interiore e le situazioni che ci troviamo ad affrontare nella vita. Ad esempio una persona pur credendo delle proprie capacità non si sente sufficientemente considerata dai familiari o dai colleghi sul luogo di lavoro e ciò, inevitabilmente, si ripercuote sulla sua autostima, generando un abbassamento del tono dell’umore associato ad una sensazione di inadeguatezza.
Chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta non vuol dire ammettere la sconfitta definitiva, delegando all’altro il compito di risolvere il problema, ma al contrario, avere l’umiltà di mettersi in discussione, assumendosi la responsabilità di orientare consapevolmente il proprio processo di crescita personale; significa darsi l’opportunità di incontrare i propri limiti, riconoscerli e individuare le risorse necessarie ad affrontare in modo proattivo le situazioni che creano difficoltà e rendono faticosa l’espressione delle potenzialità individuali.
Un pregiudizio molto diffuso è quello relativo ai costi elevati della psicoterapia, pregiudizio derivante dall’iniziale diffusione della psicoanalisi che prevedeva almeno tre sedute settimanali e si prolungava a volte anche per più di un decennio. Attualmente, con il diffondersi di altri approcci psicoterapeutici e il proliferare di ricerche scientifiche che hanno individuato i fattori di efficacia dell’intervento psicoterapeutico, si è verificato un profondo cambiamento in questo scenario. Infatti oramai da molti anni si è verificata un’inversione di tendenza che ha condotto ad un ridimensionamento generale sia della frequenza delle sedute (quasi sempre a cadenza settimanale ma in anche mensile nelle psicoterapia familiari), sia della durata complessiva della psicoterapia.
Il primo passo è il primo colloquio, durante il quale c’è la possibilità di esprimere i propri vissuti nel “qui ed ora”, l’esperienza attuale e le difficoltà che le persone incontrano, di far emergere i propri bisogni e le aspettative rispetto al percorso psicoterapeutico.
I primi colloqui sono molto importanti perché consentono ad entrambi (terapeuta e cliente/i) di valutare se esistono i presupposti per la costruzione di un’alleanza terapeutica, in fondo si tratta di una scelta reciproca che non si basa tanto sulla competenza del terapeuta riguardo al problema specifico del cliente, quanto piuttosto sulla capacità del terapeuta di promuovere un processo di cambiamento che coinvolga attivamente il cliente in un percorso di crescita personale.
Solitamente io consiglio ai clienti di non decidere al termine del primo colloquio se proseguire o meno il rapporto professionale, poiché ritengo sia importante concedersi un tempo minimo per lasciar “sedimentare” dentro di sé le emozioni, a volte molto intense scaturite durante il colloquio e, lasciar affiorare eventuali sensazioni positive o negative legate alla propria esperienza.
In questo modo già dalla prima seduta la persona viene invitata ad assumersi la responsabilità della propria scelta e a focalizzare la sua attenzione sul carattere di unicità che caratterizza la relazione tra “quel terapeuta” e “quella persona o quella coppia o quella famiglia”.
Andare in psicoterapia è un’esperienza che cura l’esperienza!
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