ospedale-e1384159219998Quando è in vacanza con i genitori, Asia si attacca alle gambe di sua madre: “Ma perché la gente, prima di chiedermi come mi chiamo, vuole sapere che malattia ho?”. Non è semplice, per Giulia Zambelli, evitare di far sentire sua figlia, sei anni e mezzo, diversa dagli altri. Ma è il suo obiettivo quotidiano dopo il calvario iniziato quando la bambina aveva solo un mese. Asia, che alla nascita mostrava solo una stempiatura ai capelli e una linea bianca dal petto all’ombelico, però sottovalutate dai medici, a venti giorni di vita inizia a presentare delle macchie rosse sul viso: “All’inizio pensavo a una dermatite, a uno sfogo cutaneo. Ma quelle macchie erano strane, finivano fin sotto il collo, coprivano anche il labbro. Una sera, mentre allattavo, mi è venuto il dubbio che Asia avesse un affaticamento respiratorio: si attaccava al seno e si staccava urlando, come se fosse in grado di fare una sola cosa alla volta, mangiare o respirare”.

Al Maggiore di Bologna (la famiglia è di Sant’Agata) confermano che Asia non respira bene. Colpa di un angioma sottoglottico, una sorta di rigonfiamento all’altezza della laringe che non fa passare l’aria. Al Sant’Orsola, dove la bambina viene mandata per ulteriori accertamenti, la bambina viene sottoposta alla prima di una lunga serie di laringotracheoscopie (circa trenta quelle subite finora) per verificare l’effettiva presenza dell’angioma. La diagnosi è quella della sindrome di Phace, una malattia rarissima di cui, però, Asia ha solo parte dei sintomi: “Per fortuna nessuna malformazione del nervo ottico e dell’aorta”. Ma ad Asia non vengono risparmiati né una cura cortisonica che la gonfia a dismisura portandola a non respirare più da sola, né settimane e settimane di rianimazione.

Fatto sta che la piccola, all’età di quattro mesi, viene spedita a Parigi da uno dei tre maggior esperti mondiali di malattie otorinolaringoiatriche: ed è lì che le somministrano un medicinale sperimentale, il propranolo usato in genere per i cardiopatici. La piccola inizia a ossigenarsi da sola, pur continuando a essere alimentata con il sondino. Niente tracheotomia, come invece era stato paventato. L’ultimo intervento chirurgico, per Asia, arriva a cinque anni: “Rigonfiamenti, da allora, non ne ha più avuti. Resta il problema cutaneo, restano le macchie rosse sul viso. Ogni tre mesi andiamo al Gaslini di Genova per una seduta di laser, anche se per il labbro sarà forse necessaria la plastica”.

Giulia, nel frattempo, è stata coraggiosa. Tre anni fa è nata Emma, anche se all’idea di un secondo figlio il marito e gli amici erano perplessi: “Sono matta, lo so. Ma egoisticamente avevo voglia di vivermi un allattamento vero, una crescita normale. Anche le notti insonni, sì”. E la soddisfazione maggiore arriva quando la piccola consola la grande: “Un giorno siamo tornati a casa da Genova, Asia era piena di croste. Sua sorella si è avvicinata e le ha detto di non preoccuparsi, perché sarebbe guarita”.

Giulia non scorderà nemmeno le parole della mamma incontrata nei corridoi del Sant’Orsola: “Mi ha ringraziata perché la sua bambina, che ha la Phace, grazie al protocollo sperimentato su Asia sta meglio. Mia figlia è stata una sorta di cavia, i dottori sono andati a tentativi davanti a una malattia rara come la sua. Il suo caso ha fatto scuola“. E lei lo sa: “Non le ho mai voluto nascondere nulla. Asia è cresciuta in fretta, è stata abituata a lottare fin da piccolissima. Vorrei che avesse soddisfazioni e opportunità. Un giorno, durante il calvario di questi anni, avevo toccato il fondo, demoralizzata come non mai. Mio marito mi ha invitata a guardarla mentre lottava per respirare. Allora ho pensato che no, non potevo mollare”.