Cinque mesi di agonia intorno a un’incubatrice: la battaglia di Nicolò Leon nel diario del suo papà

18252_10204769912041033_3382407214109133096_nEsercito, guerra, battaglia. Giovanni Gargano usa spesso queste parole quando racconta di Nicolò Leon, il suo bambino morto a cinque mesi di vita, lo scorso 17 giugno, dopo 109 giorni di ospedale e cinque settimane di normalità. Gargano è assessore nel Comune di Castelfranco Emilia. Il 22 febbraio alle 17, nell’ambito del Buk Festival di Modena (Foro Boario) presenterà per la prima volta il libro “Nicolò Leon. Il generale bambino” (A.Car): la storia drammatica che ha colpito lo scorso anno la sua famiglia ma dopo la quale lui e la moglie Marcella, ci racconta, hanno scelto di “combattere anziché soccombere”. Un diario nato dal quel “bollettino di guerra” che ogni sera, dopo aver messo a letto la figlia Cecilia di sei anni, Gargano aggiornava sulla sua pagina Facebook. Per avvisare gli amici, certo. Ma anche per raccogliere intorno a sé la forza, la speranza, la voglia di andare avanti.
Il ricovero di vostro figlio è stato “un’altalena micidiale”: perché?
“Nicolò è nato il 23 gennaio dell’anno scorso, a sette mesi e mezzo di gravidanza. Pesava un chilo e mezzo ma le sue condizioni, ci avevano subito tranquillizzato i medici, erano molto buone. Avremmo dovuto aspettare quelle tre o quattro settimane necessarie a farlo crescere un po’ nell’incubatrice. Poi ce lo saremmo portati a casa. Al suo quarto giorno di vita, però, la situazione è precipitata: la domenica sera alle dieci, dopo un’intera giornata a fare marsupio-terapia, io e mia moglie siamo tornati a casa. Alle cinque del mattino dopo è iniziato l’incubo: ci ha telefonato il pediatra per dirci che il bambino stava malissimo. Aveva contratto un’infezione al fegato gravissima. Io, mezzo assonnato, non potevo credere alle mie orecchie. Addirittura, ho chiesto al dottore se era sicuro che si trattasse di nostro figlio: erano passate solo sette ore da quando lo avevamo lasciato”.
Tre operazioni nel giro di pochissimi giorni, i medici che tentano l’impossibile, poi il lento miglioramento: quando è stato dimesso Nicolò?
“Il 10 maggio. Finalmente vedevamo la luce in fondo al tunnel. Eravamo a ridosso dell’estate, lo abbiamo portato anche al mare. Un mese di normalità, dopo quei 109 giorni in cui la nostra famiglia era di fatto scoppiata. Nicolò continuava a essere controllato a vista, come c’era da aspettarsi. Finché il 17 giugno è morto in braccio alla pediatra che era venuta in visita a casa. Il suo cuore, che nei primi mesi aveva fatto uno sforzo incredibile, probabilmente non ha più retto. Per noi rimarrà sempre un generale: per un bimbo prematuro come è stato lui, la battaglia che ha portato avanti per restare in vita è stata epocale. Siamo qui a dire e ripetere che, nonostante il dolore e la sofferenza, ne vale sempre la pena”.
Il libro nasce a scopo terapeutico? O a servizio di chi attraversa disavventure simili?
“Entrambe le cose. Scrivere la storia di Nicolò è servito a sentirsi senz’altro meno soli, più forti. Ma mi piacerebbe che fosse utile a chi vive momenti di difficoltà e stress come quelli che abbiamo affrontato noi”.
Come si spiega a un bambino – in questo caso a Cecilia – che il fratellino non c’è più?
“Cecilia continua a essere per noi un’ancora di salvezza per andare avanti. Grazie a lei non ci siamo potuti permettere di piangere, imprecare, mollare. Per lei Nicolò era il bambolotto tornato a casa dopo mesi nei quali raramente lo aveva potuto vedere. Il periodo più duro è stato da giugno a settembre: la sera, quando era ora di metterla a dormire, si sono stati momenti tragici, costellati di domande alle quali spesso non abbiamo trovato risposte. ‘Che cosa ho fatto io di male perché mi togliessero Nicolò?’, ci ha chiesto una sera. Ti puoi arrampicare sugli specchi finché vuoi ma alla fine non hai parole”.
Il ricavato della vendita del libro finanzierà il progetto dell’associazione Buona Nascita di Carpi per la donazione del latte materno ai bambini prematuri. Un progetto del quale lei si era occupato prima della nascita di Nicolò. Il dolore vissuto sulla propria pelle che cosa può scatenare, alla fine?
“Altruismo, solidarietà. La caparbietà di Nicolò, il suo carattere combattivo, saranno sempre con noi. E ci guideranno nel fare del bene. Cecilia, dal canto suo, ci aveva visto lungo: quando siamo andati a registrare Nicolò all’anagrafe, abbiamo rispolverato la sua vecchia idea di chiamarlo Leon, in onore della forza che stava mostrando in quel momento. E alla fine gli abbiamo messo due nomi”.

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