Diventare mamma significa anche accettare il proprio corpo che cambia, ma soprattutto significa accettare un nuovo ruolo, nuove difficoltà, insomma una nuova vita. Un cambiamento con il quale spesso non è semplice conviverci. Poi la donna talvolta deve “fare i conti” con la depressione post partum e con tutti gli interrogativi che ne conseguono, fino ad arrivare all’età dell’adolescenza dei figli, un periodo delicato della crescita.
“Spesso le mamme in gravidanza – spiega il dottor Gianluigi Pancaldi, psichiatra che lavora per il Poliambulatorio Nuova Medicina – hanno il problema di acuire un ruolo che prima non avevano, con tutte le difficoltà connesse. Di fatto questo comportamento rimanda al rapporto con le figure femminili ed in particolare con la propria madre. Per aiutare la futura mamma ad acquisire questo nuovo modo di vivere può essere importante un supporto psicologico. Ovviamente ogni caso è a sé, infatti è necessario anche capire se precedentemente nella donna si sono verificati casi di tipo psichiatrico, ansioso o depressivo. A questo punto va valutato cosa fare in gravidanza. Personalmente sono contrario all’assunzione di farmaci durante la gravidanza, finché è possibile si preferisce un supporto di tipo psicologico”.
Il periodo più delicato psicologicamente per la donna può arrivare subito dopo il parto, con i primi sintomi della depressione post partum: “Si può manifestare anche subito dopo il parto, ma il periodo critico continua fino a 4 settimane dalla nascita del bambino – continua il dottor Pancaldi – . Si tratta di una crisi depressiva o psicotica (a seconda dei casi) che deriva da situazioni difficili da controllare”.
Ma quali sono i campanelli d’allarme? “Il distacco e la freddezza nei confronti del propio bambino è sicuramente uno dei sintomi della depressione post partum, si parla di psicosi quando invece non si riconosce più l’identità delle persone, casi molto più gravi. L’approccio varia dai vari casi singoli, ma generalmente credo che le terapie interpersonali non debbano escludere i farmaci e viceversa, anche se nel caso specifico del post gravidanza è sempre meglio posticipare l’uso dei farmaci, in particolar modo se la mamma allatta il proprio bambino”.
Un altro periodo critico per i genitori è quello dell’età dell’adolescenza dei figli, che negli ultimi anni si è spostata verso i 18-19 anni: “Dai casi che conosco c’è un’emergenza specifica, infatti i ragazzi e le ragazze di oggi al minimo stress, come ad esempio il no alla paghetta settimanale oppure all’uscita settimanale, hanno delle reazioni abnormi, con comportamenti autolesivi. Ad esempio alcuni anni fa una ragazzina, dopo un no dei genitori, si buttò dalla finestra. Quindi piccolo stress, reazione abnorme”.
“Tutto questo significa – continua il dottor Pancaldi – che le strutture mentali non sono sviluppate in base alla loro età. Si tratta di giovani che vanno aiutati a tollerare l’ansia e l’aggressività, cercando di dare indicazioni per venirne fuori. Non ci sono protocolli precisi e determinanti, soprattutto oggi che l’età dell’adolescenza avanza fino ai 18-19 anni, quindi le strutture mentali hanno uno sviluppo più ritardato”.
Da cosa è dovuto tutto questo? “Non necessariamente famiglie problematiche creano figli problematici. Questo infatti non è l’unico fattore che può incidere – conclude il dottor Pancaldi – Importante è l’ambiente in cui si veve, le possibilità che si hanno, i fattori congeniti e genetici. Insomma la situazione sociale in cui una persona vive porta al ‘prodotto’ finale”.
Il dottor Gianluigi Pancaldi riceve al Poliambulatorio Nuova Medicina di Cesenatico, per informazioni e orari di ricevimento clicca qui.
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