Educazione di genere. Il racconto della maestra Pina: “Ecco che cosa facciamo in classe”

Pina Caporaso
Pina Caporaso

Quando un maschio e una femmina, anche molto piccoli, giocano insieme, subito i grandi tendono ad attribuire ai due una relazione di fidanzamento. Pina Caporaso, maestra elementare di Pistoia, nella sua classe (la seconda della scuola “Galileo Galilei”) lavora moltissimo sul tema dell’amicizia. Perché se un bambino o una bambina stanno bene insieme o provano una simpatia reciproca, ben venga. Pina, tra i banchi, è abituata anche a usare il femminile quando serve: e quando ai suoi alunni e alle sue alunne ha proposto un progetto sui mestieri, le femmine non hanno avuto problemi né titubanze a dire che da grandi vorranno fare le muratrici, le biciclettaie, le meccaniche. I dubbi e le resistenze, piuttosto, appartengono agli adulti: “Quando si tira in ballo l’educazione di genere, i genitori sono convinti che in classe noi insegnanti impartiamo chissà quali nozioni. Come se ci mettessimo lì a confondere ai bambini le idee. L’ideologia gender è diventata lo spauracchio collettivo per due motivi: da un lato perché sussiste la sempiterna paura della libertà, quando invece noi forniamo delle mappe che consentano ai bambini di orientarsi nella complessità, di riconoscere la propria identità e non averne paura. Dall’altro perché viviamo in un Paese omofobo che crede che combattere gli stereotipi di genere, cosa che la scuola purtroppo contribuisce e veicolare, equivalga a incoraggiare i bambini all’omosessualità, come se quest’ultima fosse una scelta o un condizionamento che viene dall’esterno”.

L’anno scorso Pina ha partecipato a un incontro organizzato da La Manif pour tous al quale – tramite le parrocchie – erano arrivati anche parecchi genitori: “Per un po’ sono rimasta zitta ad ascoltare. Poi, accorgendomi come i relatori non avessero la benché minima idea del lavoro che viene svolto in classe, come se maestre e maestri, ai bambini, facessero il lavaggio del cervello, mi sono alzata e ho preso la parola. Spiegando che l’educazione di genere è uno sguardo, non un progetto specifico: significa guardare in modo diverso alle dinamiche che avvengono in una classe, significa usare un linguaggio appropriato, contrastare i luoghi comuni. Non sono mica temi nuovi: pensiamo al libro ‘Dalla parte delle bambine’, pubblicato quarant’anni fa. La novità è che questi argomenti, adesso, prendono sempre una piega polemica: guardiamo al caso di Trieste, dove i genitori mica sono andati a protestare con gli insegnanti. Al contrario, si sono rivolti ai giornali”.

Pina, insieme alla sua quarta di tre anni fa, ha realizzato il documentario “Bomba liberi tutti”: “Ai genitori ho chiesto solo la liberatoria per le riprese, non sono stata a spiegare nel dettaglio quale attività avremmo fatto. Perché l’educazione di genere è un approccio da tenere sempre, non da inserire in un’ora specifica. E gli insegnanti devono essere adeguatamente formati perché facciano proprio quello sguardo”.

Qui l’articolo scritto da Pina Caporaso per “Ingenere”

In questo articolo ci sono 6 commenti

Commenti:

  1. Finalmente. Lasciate che i bambini diventino adulti assecondando le proprie inclinazioni e sviluppando le loro personali capacità. Ho 70 anni, due figlie e due nipoti maschi. Ricordo bene le personali repressioni legate al mio genere femminile che mi hanno reso difficile l’adolescenza. Quelle dell’infanzia troppo remote. Altri tempi? Mah, mi sembra proprio di no. Uno stupidario generale di sollecitazioni improprie. Detto alle mie figlie fin da piccole di darsi da fare per mantenersi da sole. Secondo le loro scelte. La chiave della libertà, nella misura in cui si può avere in questa società. L’hanno fatto.

  2. Sono alla ricerca di letteratura in italiano in merito a questo argomento. C’e’ tantissimo online in lingua inglese, ma vorrei condividere questi argomenti con la mia famiglia in italia. Comprero’ subito il libro “Dalla parte delle bambine” e lo passero’, ma se aveste altro da suggerire, in lingua italiana, che spieghi bene PERCHE’ bisogna cambiare l’atteggiamento e i comportamenti e il linguaggio…. Grazie!

  3. la grammatica la fa… La differenza e Mi specchio in te, entrambi della Casa Editrice Mammeonline. E poi sempre della stessa casa editrice Chiamarlo amore non si può

  4. Deh? L’utilità di dire muratrice invece che muratore? A parte insegnare una forma linguistica scorretta ad un bambino, ovviamente.

    Secondo: mi fa piacere che lei combatta “gli stereotipi” (?!) del maschile e del femminile, ma non ci dice quali siano questi presunti stereotipi.

    Terzo: quello che fa lei non è detto che lo facciano tutti gli altri insegnanti. Quindi di che stiamo a parlare?

  5. Ma dove le ha mai sentite delle bambine che vogliono fare “le muratrici”, “le biciclettaie”? Ma fatemi il piacere.
    Ciao
    Simone (animatore per 13 anni consecutivi in attività giovanili, ore padre di due splendide ragazze e un moccioso)

  6. Incredibile che nelle scuole del 2015 si aggirino persone come questa insegnante. Fa bene a citare libri di quarant’anni fa, come fa bene a farsi dare ragione dalla settantenne signora qui sopra che ha vissuto problemi d’adolescenza verso la metà del secolo scorso. Il punto è proprio questo: questa cultura proviene dal femminismo radicale anni ’60 che continua ancora oggi a distruggere l’armonia tra femminile e maschile. Proprio quando i due sessi avrebbero più che mai bisogno di ritrovarsi è assolutamente fuori luogo denigrarne le differenze riducendole a stereotipo, termine jolly che vuol dire tutto e nulla. Credono che in questo mondo se le femmine non vogliono fare le muratrici è solo per la cattiveria e l'”omofobia” della società.. ma dove vivono?

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