Per uno che nasce a Tredozio, Romagna piena, essere vegano sembra quasi un controsenso. Invece no, non per Manuel Marcuccio, da poco in libreria con “uno cookbook fuori orario” (Eifis editore), il suo secondo ricettario 100% veg, questa volta dedicato alla colazione, al brunch, alla merenda, allo spuntino di mezzanotte. Un libro che ti fa by-passare con per magia, tutto d’un tratto, quel pregiudizio nei confronti della cucina che scansa i prodotti di origine animale: perché qui di fantasia, varietà, colori, sapori e versatilità ce ne sono da vendere. Perché dai muffin di patate dolci con muesli e cioccolato alle piadine di farro con fichi caramellati, dai donuts al limone alle gommose alla liquirizia, il mondo vegano appare molto più ricco, frizzante e simpatico di quel che ci si aspetterebbe. E le foto, scattate dallo stesso Manuel, che ha immortalato non solo i piatti finiti ma anche i singoli ingredienti, ne sono la dimostrazione.
Manuel, da quanto tempo ti sei “convertito”?
“Sono vegano da circa otto anni ma il mio percorso, in realtà, è stato graduale. Lavorando in teatro, abituato a mangiare sempre fuori, parecchio tempo fa avevo iniziato a fare a meno della carne e del pesce, più per un discorso di benessere fisico che altro. A volte, però, mi capitava di mangiare il classico panino al prosciutto. Poi, in un momento di forte debolezza personale, ho avuto una sorta di rivelazione: il rispetto per l’ambiente e gli animali ha cominciato nel giro di poco a far parte della mia sensibilità. All’inizio, però, si è trattato di una scelta etica ma mi mancava la conoscenza. Magari andavo al cinema e prendevo un sacchetto di gommose, ignorando il fatto che spesso sono fatte con gelatine animali”.
Leggere e documentarti ha favorito una scelta più convinta?
“Assolutamente sì. Il percorso verso l’alimentazione vegana nasce probabilmente in una frazione di secondo, in un click. La realizzazione piena, invece, è molto più lenta. Raccogliere informazioni serve ad acquisire una piena consapevolezza”.
Oggi, di veganesimo, si parla molto più spesso, anche in relazione all’alimentazione dei bambini e allo svezzamento. Tu che opinione hai? Si può crescere bene facendo del tutto a meno dei prodotti di derivazione animale?
“Sono solito non sbilanciarmi sui temi che non sono di mia stretta competenza. Se fossi padre mi affiderei di certo a un pediatra che conosca anche i vantaggi dell’alimentazione vegana. Ma non farei di testa mia”.
Le ricette del libro sono intervallate da alcuni racconti: uno dei protagonisti è Francesco, un bambino vegano. Ti sei ispirato a qualcuno di reale per costruire il personaggio?
“Francesco, come gli altri tre personaggi, riflette sicuramente una parte di quello che sono io. Ma si ispira anche ai figli di amici, che ho visto e vede crescere con un’alimentazione al cento per cento vegetale. Per loro, probabilmente, non si tratta di una vera scelta etica, quanto di un’abitudine familiare”.
A proposito di abitudine, per un vegano qual è il senso della tradizione, anche culinaria?
“Io credo che la tradizione sia in costante movimento. Le nostre abitudini e le nostre necessità incidono sul cambiamento della tradizione, che non dobbiamo vedere come qualcosa di statico, fisso e immutabile. Mia nipote, che ha dieci anni, a Natale mangia le mie lasagne vegane, preparate con una besciamella senza latte, con una sfoglia senza uova, con un ragù a base di seitan. La lasagna classica aveva un senso quando la cucinavano i nostri nonni, calata quindi nel contesto dell’epoca, dove le uova erano di qualità e le carne di provenienza sicura. Oggi che il mondo è cambiato, anche quel piatto cambia. E non significa snaturare la tradizione”.
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