
Gighità non significa nulla, o forse tutto. Gighità è la parola che ripete spesso una paziente del centro dove Jenny Burnazzi, violoncellista ravennate, sta facendo tirocinio per concludere il proprio percorso formativo in musicoterapia. E ora Gighità è anche un progetto che Jenny, insieme all’educatrice professionale Antonella Gentilini e all’artista Claudia Majoli, propone alle famiglie di Ravenna che vivono a stretto contatto con la disabilità.
L’idea è portare la musica nei salotti, nelle cucine o nei cortili privati, per abbattere quel muro che isola le mamme e i papà che hanno figli disabili e per far trascorrere loro momenti “normali”, piacevoli, spensierati. Un’iniziativa originale che verrà presentata questa sera alle 20,30 alla Macina (via Faentina 284). L’obiettivo finale e più ambizioso è quella parola spesso ripetuta ma altrettanto spesso vuota di significato: integrazione. Un concetto a cui Jenny e le altre tengono parecchio: “A volte basta poco: una persona che suona la chitarra o intona qualche canzone, qualche amico, una fetta di ciambella da mangiare insieme”.
Questa sera sarà l’occasione per tastare il terreno e capire quante famiglie potrebbero essere interessate a spalancare le porte di casa propria. Jenny, Antonella e Claudia, una volta contattate, si preoccuperanno di studiare l’ambiente domestico per verificare la soglia di rumore consentita (se si tratta di un condominio), di individuare l’artista disponibile a suonare nelle date e negli orari scelti dalla famiglia, di mandare gli inviti, allestire un rinfresco, riordinare la casa dopo l’esibizione. Un lavoro gratuito, al quale le famiglie potranno contribuire a piacere con un’offerta libera.
“In generale la musica – spiega Jenny – serve a migliorare la qualità della vita, alimentare il senso di benessere, relazionarsi con gli altri, contribuire al processo di integrazione. A livello istituzionale esistono diverse iniziative ma a noi interessava intervenire sulle famiglie, lasciate spesso a se stesse”.
“Gighità, una parola che possono dire tutti, era il mio sogno nel cassetto – spiega Antonella Gentilini, che è educatrice al centro “Il Faro” per l’accoglienza e il tempo libero per minori con disabilità intellettiva e operatrice culturale – perché ho sempre pensato che l’arte rende uguali. Ho più volte notato, in questi molti anni di lavoro, che le famiglie che vivono il problema della disabilità sono emarginate per via delle esigenze speciali dei figli ma anche di una società che le spinge fuori: ho lavorato con un bimbo che ai suoi compleanni invitava tanti bambini grazie a una famiglia molto attiva e aperta e a una casa con parco e piscina ma alle sue feste rimaneva puntualmente solo. Vogliamo uscire dallo stereotipo della tristezza e andare oltre. L’ottica è quella dell’inclusione sociale. Il nostro è un progetto a tre cuori“.
Anche Claudia Majoli, che si dedica all’arte ed è mamma di una ragazza autistica di 21 anni, vive sulla propria pelle l’isolamento. E ha scelto di entrare nel progetto sia per se stessa che per gli altri: “La società non ti aiuta, non ti dà delle risorse per uscire dalla tua condizione: il figlio è tuo e te lo devi gestire tu. Ecco perché Gighità mi ha entusiasmata: è un modo di dire alle famiglie come la mia di non fossilizzarci, di cercare forme di serenità anche attraverso cose semplici come la musica“.
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