Vi verrà voglia di innamorarvi, vi batterà il cuore nella straziante attesa di una telefonata di Manlio, vi intristirete per l’ennesimo tira e molla. Vi arrabbierete pure, forse, per quel “brutto vizio” di Manlio di lasciare Claudio. Cucire i ricordi della storia con suo marito, iniziata vent’anni fa ai Parioli a Roma, per il giornalista di Internazionale Claudio Rossi Marcelli non è stata un’operazione facile. Ecco perché “E il cuore salta un battito. Due ragazzi e la sorprendente semplicità dell’amore” (Mondadori) è come un romanzo in cui l’autore si guarda al rewind, come protagonista di una vicenda terza. Ed ecco perché è molto diverso dal precedente “Hello daddy!” che narrava invece la ricerca della paternità e la vita “normale” con le gemelle Clelia e Maddalena, oggi sette anni e sorelle di Bartolomeo, quattro. Questa sera lo scrittore sarà a Bologna (Libreria Zanichelli, Piazza Galvani 1/H, ore 18) e poi a Ferrara (Ibs+Libraccio, Palazzo S. Crispino, Piazza Trento Trieste, ore 21) per la presentazione di quello che appare come il prequel del primo libro ma che in realtà non lo è.
Claudio, prima il racconto della vostra vita da genitori, poi quello della vostra relazione fin dagli albori. Che cosa è successo?
“Ho scritto ‘Hello daddy’ in presa diretta, come in un diario veloce che andava avanti mentre le cose succedevano. C’era in me un’urgenza di comunicare quello che stavo vivendo. Avevo giurato che non avrei mai più scritto nulla di così personale e autobiografico. Ma poi Mondadori me l’ha chiesto e dopo averci pensato un po’ su, alla fine ho capito che non sarebbe stato poi così male riaprire la scatola dei ricordi e rivedere me e Manlio a metà degli anni Novanta, in quella Roma dove tutto nacque”.
“Ormai non ti scappo” : la frase pronunciata da Manlio al termine del vostro primo appuntamento e quell’aria familiare da ragazzo della porta accanto che avevi subito colto ti avrebbero potuto far capire, con il senno di poi, che sarebbe stato lui l’uomo con cui condividere tutto?
“Forse è poco romantico, per alcuni, non avere il classico colpo di fulmine, quella sensazione travolgente di sorpresa con cui si fa coincidere l’innamoramento. Però credo che il fatto di essere omosessuale spieghi il perché quella normalità era per me la gioia più grande. La mia paura era stata infatti quella di dovermi accontentare, di non poter puntare al massimo. E l’ambizione più grande era trovare un fidanzato come quello che avevano le mie amiche, quello che davvero ti piace e con cui costruire qualcosa. Se per altri l’odore familiare di una persona non è eccitante, per me in quel momento lo era eccome”.
In tempi precoci avevi disegnato su un foglio la disposizione di amici e parenti sui banchi della chiesa il giorno del vostro matrimonio, come se fosse possibile poterlo fare. “Non fu amore a prima vista ma un matrimonio a prima vista”, dici nel libro: quanto la forza delle cose, dei sentimenti e delle storie umane supera di fatto tutti i paletti delle leggi, di quello che si può o non si può fare?
“Quel foglio l’ho ritrovato durante l’ultimo trasloco a Copenaghen, quando a Roma è saltato fuori uno scatolone con le lettere e i biglietti che negli anni avevo scritto a Manlio. Ho molto sorriso davanti a quella mappa, che dimostra quanto la voglia di fare progetti in grande con la persona che ami sia immediata e insita in tutti noi. Purtroppo viviamo in una società strutturata e borghese e vent’anni fa non stava né in cielo né in terra l’idea del matrimonio omosessuale. Ma la freschezza dei sentimenti appartiene a tutti”.
Nel libro descrivi una scena d’impatto nella quale, seduto su un muretto, chiedi a Manlio se nella vita vuole dei figli. Lui ti dice di sì, senza se e senza ma: una riposta netta e fortissima. Avresti mai immaginato, poi, di averne tre proprio con lui?
“Forse no, sicuramente non tre. Ma posso dire che quando abbiamo deciso di farlo, abbiamo agito sull’onda dell’incoscienza, prendendoci tanti rischi e andando incontro a parecchie incognite, soprattutto riguardo la società in generale e la reazione del nostro mondo circostante. Ma allora mi sembrava facile e normale provarci: forse questo è stato il segreto dell’esserci poi riusciti”.
Tu e Manlio siete cresciuti in contesti simili, addirittura nello stesso quartiere. La sua famiglia, però, si è sempre mostrata molto più aperta della tua. A un certo punto parli del Gay Pride nel quale la mamma di Manlio esibisce un cartello con scritto “mamma di gay è bello”. La presenza di Manlio nella tua vita ha fatto da balsamo alle rigidità di tua madre?
“Certo, anche perché a casa mia l’argomento politico non attecchiva. La madre di Manlio è un’attivista dei diritti lgbt. Da me, invece, l’accettazione della mia omosessualità doveva per forza passare da una strada emotiva: ancora oggi è molto più semplice, per le persone omosessuali, fare coming out con i genitori in presenza di un compagno o di una compagna. Anche così si spiega la ricerca disperata di una storia: le persone hanno molto più presa delle idee astratte”.
Attraverso la tua storia personale ripercorri anche parecchi anni di battaglie per i diritti: ti sei mai chiesto come sarebbe oggi la storia tua e di Manlio, nella stessa Roma, vent’anni dopo?
“Noi abbiamo vissuto un’adolescenza forse più complicata di quella che i ragazzini e le ragazzine attraversano oggi. La strada era meno spianata di oggi, c’erano angosce e paure che influivano anche sulla coppia. Un esempio: Internet consente a un adolescente che si scopre gay di sapere che ce ne sono tante, di persone come lui. D’altro canto mi dico che forse, nel 2015, non sarei stato tenace quanto allora nell’aspettare Manlio. Ma è pur vero che io ho una visione vecchio stile del rapporto matrimoniale: in linea di massima, credo che se hai scelto di stare con una persona, a meno che non succedano cose eclatanti, continui a stare con quella. Un’idea, la mia, dove il concetto di sacrificio non manca, perché sono convinto che non è mai tutto rose e fiori tra due persone”.
Grandi progetti e grandi speranze: questo il collante di allora tra te e Manlio. E oggi, dopo tanti anni insieme e tre figli, che cosa vi tiene uniti?
“La stessa visione delle vita, gli stessi pochi ma fondamentali valori. Siamo diversissimi a livello caratteriale ma manteniamo sempre lo stesso spirito. A darci una mano, forse, è il fatto che veniamo dallo stesso posto. Credo molto al detto ‘moglie e buoi dei paesi tuoi’. Nel nostro caso è più che vero”.
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