Mamme dopo il cancro al seno. L’oncologo: “Si può, senza pericoli”

tumore al seno, mammografiaPortare avanti una gravidanza dopo il tumore alla mammella è qualcosa di sicuro. Nonostante le perplessità che ancora vigono in materia, i risultati della ricerca scientifica dimostrano che, sempre più spesso, le donne che desiderano avere un figlio dopo le cure anti-tumorali possono riuscirci con successo grazie ad accorgimenti specifici. Parola del dottor Alessio Schirone, medico oncologo dell’Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) IRCCS di Meldola. “Il mese scorso, ad esempio – racconta Schirone – una paziente di 26 anni ha deciso di congelare gli ovociti prima di iniziare la chemioterapia. Qualche tempo prima, una donna di oltre 35 anni alla quale era stato diagnosticato il cancro durante la gestazione, ha partorito e dopo dieci giorni ha potuto intraprendere la chemioterapia”.

Casi diversi che accendono però i riflettori sull’importanza di una sempre crescente sensibilità dei medici sul tema: “Noi oncologi, – continua Schirone – in sede di diagnosi dobbiamo sempre chiedere alla paziente se desidera avere figli. Questo consente di indirizzarla, in caso affermativo, il più precocemente possibile verso le équipe mediche che si occupano di preservazione della fertilità. In caso di ritardo di attivazione di questo percorso, diminuiscono le possibilità di future gravidanze o si rischia di dover rimandare l’inizio dei trattamenti precauzionali post-chirurgici”.

Nel 2012, durante un’intervista via web fatta a 200 oncologi italiani, circa il 50% ha riposto che una gravidanza dopo il cancro al seno potrebbe essere pericolosa: “I dati della letteratura scientifica attualmente disponibili, tuttavia, evidenziano che le gravidanze sono sicure dopo questo tipo di tumore in quanto non aumentano il rischio di mortalità o recidiva; questo vale sia per i tumori mammari a recettori ormonali negativi che per quelli ormonoresponsivi (a recettori ormonali positivi)”.

Chiaro che non è tutto in discesa: le difficoltà ci sono, eccome, a partire dall’età delle pazienti che, a 36/37 anni, non sono biologicamente più giovani. Ecco perché i centri di procreazione medicalmente assistita prevedono una serie di tecniche per far sì che la donna possa mettersi dalla parte del sicuro e cercare la gravidanza dopo la guarigione, superando anche il problema della tossicità dei trattamenti chemioterapici. Problema, quest’ultimo, per il quale in ogni caso i medici oncologi si prodigano, attraverso la somministrazione di farmaci specifici cosiddetti Lh Rh analoghi, utilizzati di solito sotto i 40 anni, per la protezione delle ovaie delle donne.

Bando alle paure, insomma, che appartengono sia agli specialisti che alle pazienti: “Compito dei primi è superarle, grazie al supporto dei dati, così da poter per tranquillizzare le seconde”.

 

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