Voli senza bambini a bordo: e voi, paghereste un sovrapprezzo?

bambino, pianto, aereo, volo“Guardi che ha mal d’orecchie, glielo dico per esperienza”. “Secondo me non sopporta il rumore”. “Forse ha sonno”. “Provi a dargli da bere”. “Non avrà fame?”. Non ho mai sentito tanti sguardi addosso come quando ho preso il volo Barcellona-Bologna con mio figlio di sei mesi. Sguardi che mi sono tornati alla mente adesso, con tutto il loro carico d’odio e acidità, nel leggere la notizia dell’indagine di TripAdvisor, che ha scoperto come gli angolassoni non sopportino i bambini a bordo degli aerei. Il 37% di loro, addirittura, pagherebbe una maggiorazione sul prezzo del biglietto per un volo “no kids”.

Come biasimarli. All’inizio dell’anno, quelle due ore di volo sono state per me, e per i malcapitati passeggeri miei compagni di avventura, un inferno. Il bebè ha pianto dal primo all’ultimo minuto, due ore in tutto circa, senza sosta e senza pietà per nessuno. Mettere in atto strategie per calmarlo quando sei relegata a un seggiolino che non ti concede spazio di manovra, con una schiera di hostess che non fanno uno strappo alla regola a morire, costringendoti a tenere allacciate le cinture (compresa la cintura del bambino agganciata alla tua), è un’operazione ai limiti dell’utopia.

Quello che puoi fare, nell’ordine è:
tentare di sedare la bestiola urlante, ovvero addormentarlo. Ma l’unica tecnica che ti puoi concedere è accarezzarlo o dondolarlo con movimenti sussultori perché lo spazio, ancora una volta, non c’è. Tentativo fallito
alzarti e passeggiare nel corridoio avanti e indietro con lui in braccio nei momenti in cui non vige l’obbligo delle cinture. Altro tentativo fallito
distrarlo con giocattoli vari. Effetto zero
conquistarlo con acqua, biscotti, generi alimentari vari. Salvo scoprire, all’arrivo a casa, che si era beccato un virus gastrointestinale. Il che, a ritroso, per lo meno giustifica l’ennesimo fallimento.

Il punto è che, se una mamma viaggiasse sola a bordo di un jet con un bambino che urla, potrebbe anche cercare di mantenere la calma, inspirare ed espirare, darsi allo yoga, meditare, sperare che il tempo voli (e l’aereo pure, magari più in fretta) e che quell’incubo di viaggia finisca. Ma su un volo tradizionale, a guardarti, giudicarti e darti inutili consigli ci sono decine e decine di persone di ogni sesso, età, provenienza geografica. Che, quando non ti gettano sguardi feroci, provano a darti una mano. Attingendo alla lista di suggerimenti di cui sopra, che tu hai già sperimentato a ripetizione, senza successo.

aeroportoA un tratto ricordo che mia madre, che mi sedeva affianco, in preda al panico mi disse con voce alta e ferma: “Prova ad andare in bagno!!!!”. Ma voi li avete presenti i bagni degli aerei? Io che cosa posso combinare in quel metro quadrato con un bambino che strilla? Per non sapere né leggere né scrivere, mi sono alzata e mi sono chiusa nella toilette. Ho abbassato il piano fasciatoio dove a sei mesi entri a malapena e ho steso l’essere urlante. Che, su quella superficie dura e ghiacciata, ha preso a gridare ancora di più.

Quando sono tornata al mio posto, ormai esausta e rassegnata, ho visto una signora che sedeva poco più avanti girarsi verso di me con occhi che mi compativano. E purtroppo, con la tensione a mille, non sono riuscita ad applicare a me stessa il concetto di “keep calm”:
“La smette di guardarmi così? Che c…..vuole? Non so più cosa fare, ha capito? Lei ce l’ha una soluzione?”, sentendomi un essere spregevole non appena ho chiuso bocca.

Lei, per farmi sentire una persona ancora peggiore, ha risposto tenera e perfetta: “Sono una nonna, volevo lanciarle uno sguardo di condivisione, sto empatizzando con la sua frustrazione”. 

Chissà quanti dei miei poveri compagni di viaggio avranno scoperto, dopo avermi conosciuta, che esistono compagnie che, ai voli senza bambini, hanno già pensato. Come la Thomas Cook Airlines che effettua un volo children free per Gran Canaria e Creta, un paio di volte a settimana. O la Malaysian Airlines, che ha studiato aree per soli adulti nella prima calasse dei Boeing 747, salvo portare avanti l’esperimento negli A380, classe economica.

Col senno di poi, avrei desiderato anch’io la mia Nyfesha Miller di turno, la donna che durante un volo dal Michigan all’Alabama, vendendo Rebekka Garvison, una mamma in difficoltà con una neonata urlante, ha preso la bambina con sé e l’ha calmata. Le favole esistono, anche quando i bambini piangono, gli aerei volano e i passeggeri ti condannano.

 

In questo articolo ci sono 0 commenti

Commenta

g
To Top