Non solo nel libretto universitario. Milena Bargiacchi sarà Milena – e non più Francesco – anche sulla carta d’identità. Una sentenza a dir poco storica del Tribunale di Modena ha dato ragione a una 26enne fotografa e videomaker di Carpi nata maschio ma con un’identità femminile fin dall’infanzia: non sarà più necessario operarsi per vedere cambiare le proprie generalità sui documenti. La legge 164 del 1982, in realtà, non si trasforma. Ma la battaglia legale di Milena, sostenuta dal’avvocato Cathy La Torre, è destinata a spianare la strada alle persone trans che fino ad ora erano costrette a vivere l’intervento chirurgico come un’imposizione, se non un ricatto, per vedersi riconoscere uomini o donne, a seconda dei casi, come la loro identità rispecchia. La decisione dei giudici modenesi arriva subito dopo la svolta data nella stessa direzione, il 5 novembre, dalla Corte Costituzionale.
Milena, ti aspettavi una vittoria così clamorosa?
“No, nemmeno pensandoci a mente fredda. Fino a oggi la giurisprudenza ha sempre interpretato in maniera molto restrittiva la legge del 1982. Io ho deciso di provarci lo stesso a partire dal 2012. Purtroppo chi non ha diritti, come le persone trans, per ottenere qualcosa sono costrette a metterci la faccia, sprecare tempo, energie e soldi. A me, in termini economici, questo percorso è venuto a costare non meno di 3mila euro. Devo ringraziare i miei genitori che mi hanno sostenuta sia dal punto di vista finanziario che da quello psicologico e morale: il loro supporto è stato fondamentale”.
Quello che all’apparenza pare un cambiamento simbolico, in realtà lo è in maniera più che concreta: che cosa significa, nei fatti?
“Sentirsi accettati, riconosciuti. Quando valutai a quale ateneo iscrivermi, scelsi il Dams a Bologna perché mi dava l’opportunità di avere il cosiddetto doppio libretto, che in realtà è un documento unico nel quale io ero già Milena e non più Francesco. La perizia che aveva attestato la disforia dell’identità di genere, che purtroppo viene ancora vista come una diagnosi, era servita perlomeno a farmi vivere il mio sentirmi donna come qualcosa di assolutamente normale. Almeno dentro l’ente universitario io ero una femmina: bellissimo e giusto poter assaporare quella sensazione di libertà e autenticità”.
Fuori, però, il mondo come ha vissuto la tua transizione?
“Fino alla fine del liceo non avevo ancora saputo dare un nome al mio disagio. Se penso alla mia infanzia ricordo con esattezza tutte le volte in cui mi scambiavano per una femmina, tutti i miei perché rispetto al fatto che mia sorella potesse indossare una gonna e portare i capelli lunghi a differenza mia. Se mi avessero chiesto, allora, se fossi voluta nascere bambina, avrei risposto di sì. Ma nella società in cui viviamo, capisci che certe domande non le puoi fare, che devi comportarti come si deve, che certi tuoi desideri sono considerati pensieri strani e devi perciò reprimerli. Il mondo intorno, insomma, non sapeva. Fino a che, una volta iniziata l’università, ho iniziato a truccarmi, a vestirmi da donna e a farmi chiamare Milena: paure, ansie e insicurezze, all’inizio, non sono mancate. Ma ponendomi al femminile, vedevo che le persone mi accettavano. E questo mi dava forza”.
L’intervento, nel tuo percorso presente e futuro, è comunque previsto al di là della sentenza?
“Al momento no. Non ho mai sentito il disagio forte che molte persone trans hanno nel guardarsi allo specchio. Per me l’intervento chirurgico sarebbe un obbligo, qualcosa di cui non avverto la necessità”.
Per una persona che vive il passaggio da uomo a donna, come nel tuo caso, è difficile instaurare relazioni d’amore?
“Tutto dipende dall’intelligenza delle persone che incontri e di cui ti innamori. Con chi è disposto a capire ed apprezzare il tuo valore di persona a prescindere dalla tua fisicità non ci sono problemi. Come in tutte le coppie, gli equilibri sono tutti da costruire. La diversità umana è talmente vasta che non ho mai pensato alla mia condizione come un ostacolo alla possibilità di avere una relazione”.
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