Violenza sulle donne, gli psicologi prendono posizione: “Aiutiamo gli uomini”

violenza donneSono poco più di venti anni che la violenza sulle donne è stata riconosciuta come una violazione dei diritti umani. Un passo importante quello fatto nel 1993 dall’ONU per combattere un fenomeno tuttora ampiamente diffuso in tutto il pianeta. Come si può leggere nei dati Istat di giugno sono 6.788.000 le donne in Italia che hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, ovvero il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni. Emerge inoltre che la maggior parte delle violenze viene compiuta da una persona conosciuta: “il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente”.

C’è però una nota positiva: “Negli ultimi 5 anni le violenze fisiche o sessuali sono passate dal 13,3% all’11,3%, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo, ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza” (Istat).

Emerge quindi un punto su cui anche l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna ha sempre insistito, ovvero che la diffusione della consapevolezza è di fondamentale importanza per combattere il fenomeno. Il sostegno alla donna, anche psicologico, è essenziale perché, come precisa Anna Ancona, Presidente dell’Ordine ER, “la violenza, ancor prima di ledere l’incolumità del soggetto, sgretola il senso di identità, i valori di riferimento, il pensiero e la sua coerenza, le risorse personali. Colpisce la sicurezza, la stima personale, la fiducia nell’altro, rendendo nulle le risorse necessarie a compiere qualsiasi azione che possa avviare il cambiamento della situazione”.
Intervenire su questo tipo di violenza comporta programmi di lavoro rivolti alla prevenzione, rilevazione, valutazione e cura delle vittime. Bisogna però aggiungere qualcosa per riuscire a combattere efficacemente la violenza sulle donne. Si tratta di percorsi di recupero mirati per gli autori delle violenze. Se è vero, infatti, che le donne non possono salvarsi senza aiuto, ciò è altrettanto vero per chi opera la violenza.

“In un’ottica di riabilitazione e rieducazione, dove il violento non è un mostro da emarginare e condannare a vita –  spiega la Presidente – dobbiamo strutturare sempre meglio il lavoro che si può fare per far uscire il violento dalla propria condizione, facendogli comprendere il male che ha causato, sia alla donna, che a eventuali minori che abbiano assistito alla violenza. Spesso, infatti, i figli subiscono indirettamente questi episodi e quei minori porteranno molto a lungo i segni di ciò che hanno visto o sentito. Rendere consapevoli e sensibili i violenti, chiaramente con la guida di uno specialista, è di primaria importanza per risolvere il problema: finché non aiuteremo i violenti a uscire dalla loro spirale distruttiva, difficilmente potremo porre un rimedio significativo alle situazioni di violenza”.

 

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