Favori sessuali in cambio di un contratto, avance spinte per uno straccio di lavoro, favoritismi a suon di cosce per un avanzamento di carriera. Un mondo reale ma poco raccontato: Olga Ricci, pseudonimo di una giornalista italiana che quelle brutture le ha vissute sulla propria pelle, ha scelto di scoperchiare la pentola e raccontare. Una denuncia netta quella contenuta prima nel blog “Il porco al lavoro” e poi nel libro “Toglimi le mani di dosso” (chiarelettere) che ha una valenza sociale laddove può aiutare le donne a non accettare, a uscire dal tunnel, a raccogliere prove e smascherare i colpevoli, come indica la consigliera di parità della Regione Emilia-Romagna Rosa Maria Amorevole in fondo al libro.
Olga, nella sua storia professionale, a partire dai favoritismi del direttore del giornale in cui era in prova, quando hai preso effettiva consapevolezza de fatto che quelli erano ricatti, molestie, mobbing?
“Non c’è stata una presa di coscienza immediata. La consapevolezza piena rispetto alla situazione è arrivata dopo, quando tutto è finito, quando mi sono messa a studiare. All’inizio pensavo che fossero comportamenti normali, lo faceva con me, lo faceva con altre donne. Le frasi non erano mai esplicitamente sessuali, il suo approccio non era dichiaratamente molesto. Si dimostrava interessato alle mie competenze, ma allo stesso tempo mi parlava di sé, voleva sapere della mia vita privata, cercava di creare un legame che andasse oltre quello lavorativo. Mi ha fatta passare da un piano personale a uno privato in pochi giorni. A quel punto si è sentito autorizzato a comportarsi come meglio credeva, fino ad arrivare al ricatto vero e proprio”.
Quello che le è successo è qualcosa di normale o accettato negli ambienti lavorativi in cui era o comunque nella mentalità comune?
“Nell’ambiente del giornalismo sembra che ci sia una spiccata propensione a comportamenti di un certo tipo da parte dei capi. Lo stereotipo vuole che il letto sia una chance in più e che ad alcune piaccia approfittarsene. Ma, come ha scritto Barbara Gutek, professoressa emerita all’Università dell’Arizona, in ‘The Sexuality of Organization’, un saggio di qualche anno fa, la maggior parte delle donne che ha un rapporto o un coinvolgimento sessuale sul lavoro, sul lungo periodo, viene licenziata oppure si trova costretta a lasciare. I motivi sono diversi: la cattiva reputazione; le ritorsioni dei colleghi; il comportamento ricattatorio dei capi – padroni che restano sempre e comunque i soli a decidere quando dare e quando togliere. Dalle storie che ricevo, da parte delle lettrici del libro e del blog, risulta comunque che gli abusi di potere e la violenza sul lavoro siano molto diffusi anche in altri ambienti: televisione, università, multinazionali, editoria, sanità. Ci sono donne che mi hanno scritto di avere subito molestie anche mentre facevano le cameriere. Secondo alcune ricerche, nei lavori a contatto col pubblico, oltre ai capi ci sono anche i clienti che si permettono di fare avances e molestare, anche fisicamente”.
La sua storia in che modo mette l’accento sulle differenze di trattamento verso uomini e donne nel mondo del lavoro?
“Qualche giorno fa parlavo con un’amica che mi raccontava la pressione continua a cui è sottoposta, fatta di battute sul suo aspetto e richieste ‘scherzose’ di fare sesso, da parte di capi e colleghi. Da quando ha letto il libro tutto quello che prima le sembrava in un certo senso ‘normale’, adesso le sembra strano. La differenza di trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro è un dato di fatto, dimostrabile anche attraverso la disparità di stipendio: secondo Almalaurea, a cinque anni dalla laurea, gli uomini guadagnano il 22% in più delle donne (con uno scarto di circa 300 euro). Pensiamo anche a cosa succede se e quando una donna resta incinta. Stando ai dati Istat, quasi una madre su quattro, a 2 anni dalla nascita di un figlio, resta senza impiego. La metà di queste donne viene licenziata oppure non ha il rinnovo del contratto, mentre l’altra metà se ne va spontaneamente. Questo secondo dato è interessante, anche se non c’entra direttamente col sistema del mercato del lavoro, ma ci dà un’idea di come viene considerata la donna nella società italiana. Infatti, la maggior parte delle dimissioni volontarie è dovuta a problemi di ‘conciliazione’, cioè alla difficoltà di occuparsi, contemporaneamente, di figli, casa e lavoro. Le cause sono il welfare inadeguato e la rigidità dei ruoli all’interno della coppia: sulle spalle delle donne, infatti, grava ancora la maggior parte del carico domestico e familiare”.
In che modo il precariato, quindi il fatto di non avere potere negoziale e contrattuale, aiuta il fenomeno dei ricatti sessuali a radicarsi?
“La risposta è semplice: se non hai diritti riconosciuti che passano, ad esempio, dalle garanzie contrattuali, puoi essere subordinata ai capricci e ai voleri di un capo. La legge, in questo senso, dovrebbe aiutare, ma senza un contratto diventa molto difficile mantenere il posto di lavoro. Quindi, pur di tenersi il posto di lavoro, molte donne cercano di resistere come meglio riescono. Alcune anche ‘cedendo’. Nel libro racconto la vicenda di un caporedattore che ho conosciuto, un over 50, che durante un pranzo mi ha raccontato di avere avuto una liason con una stagista di 25 anni che, ingenuamente, pensava che una notte di sesso potesse bastare per farsi assumere. Peccato che, invece, lui avesse altre aspettative e volesse ancora sesso. Quando lei si è sottratta, lui l’ha messa in cattiva luce davanti alla redazione. Una volta finito lo stage la sua esperienza in quel giornale è finita per sempre”.
Dal libro pare che, in questi torbidi contesti, la solidarietà tra colleghi non esista, nemmeno al femminile: è stato così per lei? Per quali motivi?
“Purtroppo nel mondo del giornalismo ho avuto poca solidarietà da parte delle colleghe. Ma questo è dovuto anche al fatto che il capo mi aveva messa in cattiva luce fin da subito, facendomi passare per una favorita, facendomi odiare da colleghe e colleghi. Comunque, anche quando ho raccontato la storia ad alcune colleghe, la situazione non è cambiata. Forse non mi hanno creduta, forse tra noi donne veniamo abituate ad odiarci. Per fortuna adesso, con il libro, da parte di alcune colleghe e moltissime altre donne, sto ricevendo tutta la solidarietà che non ho avuto prima. Ci sono donne che stanno facendo le presentazioni del libro per me, in diverse città. Questo mi sembra un esempio incredibile di sostegno reciproco e solidarietà che dimostra che noi donne, contrariamente a quello che ci viene inculcato fin da piccole, possiamo essere alleate, capaci di solidarietà: ci sappiamo aiutare”.
L’orco cattivo che fenomenologia ha? Ci sono momenti in cui pare cedere alla finta “tenerezza”?
“È un uomo ‘normale’, capace di fare passare le molestie per complimenti e gesti di interesse sincero. È anche capace di dirti che si è innamorato. È un uomo furbo, che mostra il suo lato più umano, è abile nel manipolare, nel sentire la tua paura e nel rivoltarti contro la tua debolezza. È un uomo che agisce indisturbato, perché sa che nessuno interverrà, perché lui sta solo facendo il ‘galante’. Sta attento a non lasciare prove, a non farsi incastrare. D’altra parte incastrarlo non è affatto semplice. Lo dimostrano le poche sentenze a favore delle donne considerando l’ampiezza del problema: secondo l’Istat, 1 milione e 300mila donne italiane hanno subito molestie sul lavoro – inclusi tentativi di stupro e stupri – nella vita”.
Che mezzi ha una donna per difendersi?
“È difficile riuscire a dimostrare una violenza sul lavoro. In genere si arriva al ricatto oppure alla violenza fisica dopo azioni non del tutto esplicite, in assenza di testimoni, costruite nel tempo. Si tratta di comportamenti che vengono minimizzati perché è quello che abbiamo imparato a fare fin da piccole. È inimmaginabile, per il senso comune, considerare effettivamente molestia un invito a cena, dei ‘complimenti’ non richiesti, un massaggio sulle spalle oppure una mano sul fianco. Anche le battute a sfondo sessuale rientrano nella ‘normalità’. E se si fa notare l’anomalia di questi comportamenti a colleghi e conoscenti si passa per tragiche, allarmiste oppure bacchettone. Il problema è che il passo da queste azioni al ricatto è breve. Anche riconoscendo subito la violenza sessuale, comunque, non è semplice provarla. Perfino in caso di ricatti chiari, una registrazione ambientale non costituisce di per sé una prova decisiva, a meno che non sia stata fatta dalle forze dell’ordine. Se è una registrazione fai da te resta un elemento che certamente può essere considerato dal giudice, ma non è risolutivo. Detto questo, bisogna cominciare a denunciare e a fare in modo che questi molestatori non la passino liscia. Il primo passo è parlarne con qualcuno che possa dare dei consigli precisi, come avvocate esperte in materia e consigliere di parità. Non bisogna mai sentirsi in colpa, né avere paura. Non si è sole, ci sono persone pronte ad aiutarvi, se ne avete bisogno”.
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