Edoardo pesava 580 grammi quando è nato. La gravidanza della sua mamma, Margherita Vetrano, era arrivata solo alla 23esima settimana. In Italia, un bambino si considera nato se viene al mondo a partire dalla 24esima. Se non fosse sopravvissuto, insomma, il caso di Edoardo sarebbe stato registrato come un aborto. “Il nostro piccolo sole” è il titolo del diario di cinque mesi passati in Terapia Intensiva al “Gemelli di Roma”: una testimonianza toccante che Margherita porterà a Ravenna lunedì 7 dicembre a partire dalle 16 all’agenzia Solo Affitti 3 (via Sant’Alberto 21). Chiara Rambelli, figlia della titolare, il 21 agosto scorso è infatti diventata mamma di Alessandro, un bimbo nato prematuro alla 33esima settimana e rimasto in incubatrice per un mese al “Bufalini”. Un’esperienza che l’ha spinta a organizzare una raccolta fondi per l’acquisto di attrezzature per la Tin dell’ospedale cesenate. Raccolta che si concluderà proprio lunedì con la consegna dell’assegno al primario (in fondo all’articolo le modalità per donare).
Per trovare conforto e mettere a fattor comune il dolore, Chiara si è messa in contatto in questi mesi con Margherita, che a Ravenna racconterà il suo calvario di mamma, a partire dal senso di paura e inadeguatezza provato davanti all’incubatrice di suo figlio, due anni e mezzo fa: “Quando ripenso a quel momento, il ricordo è più che nitido: mentre mi avviavo verso il reparto, ero contenta. Nessuno mi aveva avvertita di quello che avrei visto. Sentivo però intorno a me un’atmosfera sospesa. Mio marito Emiliano era il primo a farmela avvertire: io la imputavo al fatto che mi stesse proteggendo dopo mesi di declino fisico. Venivo infatti da venti giorni di ospedale e da una gravidanza disseminata di problemi e dissanguamenti. Invece no, il suo atteggiamento premuroso e accudente era motivato dal bisogno di tutelarmi da quello che avrei visto poco dopo: un bimbo minuscolo, attaccato alle macchine, pieno di tubi e cerotti, con la pelle talmente sottile che bastava toccarla perché si crepasse. E che i medici davano quasi per spacciato“.
Uno choc superato dal tempo e dall’abitudine di vivere la propria nuova maternità (la terza dopo quella di Bianca e Giorgio, che oggi hanno 6 e 5 anni) tra respiratori e medici, in un’atmosfera asettica e surreale: “Nei mesi mi sono abituata così tanto all’orrore che ho accettato la situazione e sono arrivata a pensare che si potesse essere felici anche lì dentro, nonostante tutto. Sono riuscita a superare la fase in cui mi chiedevo se fosse meglio che tutto finisse o se fosse meglio sperare che Edoardo ce la facesse. Ho anche superato quel senso di obbligo che avvertivo quando mi tiravo il latte per portarlo in reparto, quando vedevo mio figlio così a un passo dalla morte, sempre a rischio di prendere un’infezione, come in effetti più volte è successo. Se avessi dato ascolto all’istinto, in quei momenti mi sarei buttata a terra e avrei iniziato a urlare che no, non volevo più andare avanti così”.
Alla disperazione, poco a poco, in Margherita è subentrata la forza di volontà: “I casi erano due: potevo fare la vittima o rialzarmi. Paradossalmente mi ha aiutata il fatto che io ed Emiliano siamo stati abbandonati al nostro dolore. Non certo per cattiveria ma perché le persone intorno a noi erano inadeguate. Concentrarci sul nostro isolamento ci ha dato una mano nel tirare fuori i denti e la grinta”. E ha aiutato anche l’umanità dei medici: “Un giorno, presa dalla sconforto, ho chiesto a una dottoressa se quello che vedevo nei confronti di Edoardo fosse o no accanimento terapeutico. Lei mi ha risposto che lei e i colleghi avrebbero continuato a fare tutto il possibile finché avessero visto una speranza di sopravvivenza”. Dopo un periodo di problemi su problemi, è arrivato però il momento della svolta: quando Edoardo, dall’incubatrice, è passato al lettino: “Lì ho capito che, prima o poi, me lo sarei portato a casa, non importava quando”.
Edoardo oggi va al nido e in barba alle previsioni dei medici è un bambino “solare, allegro, sorridente”. Se cade e si sbuccia le ginocchia, si rialza senza far storie. Ha una tempra che nessuno avrebbe immaginato quando, nell’incubatrice, si mostrava irascibile, arrabbiato, sempre in protesta con tubi e cerotti. Non ha subito danni cerebrali. Ha le protesi acustiche perché non sente. Fa terapia con la logopedista per migliorare il linguaggio e tenere a bada l’iperattività. Margherita, che ha preso l’aspettativa dal lavoro in banca per riuscire a seguirlo meglio, lo descrive come “una gioia”. Il messaggio con scritto “Il nostro piccolo sole” che aveva inviato col telefonino ad amici e parenti il giorno della sua nascita, è stato in qualche modo profetico.
Qui la pagina Facebook del libro
Per contribuire alla raccolta fondi organizzata da Chiara Rambelli (che andrà avanti fino al 6 dicembre), le modalità sono due:
– recarsi all’agenzia Solo Affitti 3 di via Sant’Alberto 21 a Ravenna (dove è presenta una cassetta)
– fare un bonifico sul conto corrente IT 33 K 07070 23900 000000 844329 intestato all’AUSL della Romagna ed espressamente dedicato alla Pediatria a misura di bambino. Fondamentale la causale: Solo Affitti Ravenna 3
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Commenti:
Storie che toccano il cuore, questi sono i veri campioni del mondo! Anche il nostro Pietro è venuto al mondo a sole 22 settimane….480 grammi e tanta voglia di farcela! Dopo cinque mesi e mezzo di tin finalmente a casa! Adesso ha 27 mesi,ogni suo piccolo progresso ci regala emozioni bellissime!
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