“‘Mio figlio è stato rapito da Internet’ è una frase che un giorno mi disse una mamma riferendosi al suo bambino che stava sempre davanti all’Ipad. La abbiamo scelta come titolo della nostra conferenza perché è provocatoria, ma tanto si addice ai nostri tempi in cui sempre più bambini e ragazzi sono assorti dalla meraviglia dello schermo”. A parlare è Francesco Rasponi, psicologo e psicoterapeuta, co-fondatore dell’associazione ‘Psiche Digitale’ che da qualche anno studia l’interazione fra le tecnologie digitali e lo sviluppo psico-emotivo nell’intero ciclo di vita concentrandosi soprattutto sui più giovani con incontri, progetti e attività di ricerca.
L’incontro “Mio figlio è stato rapito da Internet. Cosa fare e cosa sapere per educare i figli iperconnessi” si terrà sabato 7 maggio alle 15.30 nell’Aula magna della biblioteca Malatestiana di Cesena (Piazza Bufalini) e sarà un evento molto importante perché verranno presentate le linee guida su come educare all’uso dello schermo. “Sono anni – continua Rasponi – che lavoriamo a questo progetto. Proporremo un protocollo innovativo che rappresenta l’integrazione di tutti i modelli che gli studiosi hanno prodotto a livello internazionale fino adesso. Ci siamo concentrati sulla fascia d’età 0-18, perché esistono tanti tipi di schermi, non solo quelli digitali, e sul ruolo degli adulti, che spesso appaiono latitanti e non costituiscono un modello di riferimento per i più piccoli”. Una vera e propria dieta multimediale quindi alla quale rifarsi per apprendere come comportarsi davanti alle richieste incessanti dei bambini di confrontarsi con la tecnologia. Indicazioni che prestano attenzione non solo alla quantità, ma anche alla qualità dell’interazione.
“Il protocollo si chiama App, un acronimo che sta per ‘accompagnare, proteggere e proporre’ perché noi non ci poniamo in maniera difensiva nei confronti delle tecnologie, le quali, se usate bene, possono diventare un fondamentale elemento di arricchimento della vita dei nostri figli. La cosa necessaria che dobbiamo fare è insegnare loro l’autoregolazione, una caratteristica che non è innata, ma che deve essere indotta dall’esterno”. Autoregolarsi e autoresponsabilizzarsi. Si tratta in sostanza di imparare a darsi dei limiti e a usare tutte le cose che ci circondano con buon senso ed equilibrio e il ruolo attivo dell’adulto ha un peso fondamentale in questo processo.
“Dagli zero ai tre anni – aggiunge l’esperto – ci sono studi che dimostrano che la Tv fa male, ed è risaputo inoltre che se diventa un’attività quotidiana, diminuisce la possibilità del bambino di usare la creatività e di far ricorso ai cinque sensi per esplorare il mondo. Inoltre non ci sono programmi che siano veramente adatti a lui in questa fascia di età”. Quando invece il bimbo comincia a passare parte della sua giornata davanti alla televisione è bene che non sia mai solo, ma accompagnato davanti alle immagini da un adulto, che possa spiegarle e commentarle: “La Tv non deve diventare una baby sitter, lo schermo deve essere narrato insieme. Deve dare la possibilità di creare ulteriori dialoghi”.
In seguito alla Tv si aggiungono il computer, i videogiochi, l’Ipad e i vari cellulari e se non si danno delle regole su come gestire il tempo, le ore passate davanti agli schermi aumentano in maniera esponenziale. Nel passaggio tra la quinta elementare e la prima media arriva il cellulare e diventa sempre più difficile porre dei limiti in termini di tempo e anche di contenuti. “Per quanto riguarda i videogiochi, anche quelli di guerra o definiti ‘violenti’ non sono necessariamente negativi – precisa l’esperto -. Possono avere una funzione catartica, facendo esprimere all’adolescente emozioni aggressive. Tutto dipende dal contesto che li circonda. Se e quanto l’adulto è in grado di inserire nella quotidianità del figlio un principio di realtà, dandogli degli esempi differenti e spiegandogli la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, così da allontanare il rischio di emulazione”.
Negli anni delle medie e in quelli a seguire le attività ricreative fatte davanti allo schermo si mescolano con quelle legate allo studio. “Se un adolescente che va a scuola, fa i compiti, pratica uno sport e partecipa alla vita sociale, ha anche voglia di giocare con un video games un paio d’ore al giorno, non c’è nulla di male. Molti di questi giochi stimolano anche l’intelligenza, la logica e i riflessi. Basta però che ci sia tempo per tutto e che lo schermo non diventi l’occupazione principale e che non lo si viva in maniera ossessiva”.
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