“Metterci la faccia”, ad Alessandra Bollini, non è costato più di tanto. Perché quando, all’età di 32 anni, ti trovi davanti a una diagnosi come un tumore in entrambi i seni e dopo tre anni e mezzo sei qui a raccontarlo, il problema minore è esporsi. E così lei, ravennate, è diventata una delle testimonial della nuova campagna di sensibilizzazione contro il cancro dell’Istituto oncologico romagnolo (Ior) “Vicino a chi soffre, insieme a chi cura”. E capita che qualcuno la fermi per strada e la riconosca pure.
Alessandra, spesso le malattie sono un tabù per chi le vive. Nel tuo caso, invece?
“Il tumore è parte della mia vita e della mia normalità, non l’ho mai nascosto. Chiaro, appena ricevuta la diagnosi non l’ho urlato ai quattro venti. Ma dopo, non ho mai avuto alcuna remora nel dirlo. E oggi ho deciso di fare una sorta di ‘stalking’ passivo nei confronti dei cittadini ravennati”.
Che ricordi hai, di tre anni e mezzo fa?
“Ero sotto la doccia e, tastandomi un seno, ho sentito una specie di chicco di riso, nulla di più. In famiglia c’erano già stati casi di cancro al seno, quindi ogni tanto ero solita fare l’autopalpazione. In quel momento non mi sono buttata giù. Sono andata dal mio medico di base, che mi ha mandata al centro di prevenzione oncologica. Nessun dubbio: in uno dei due seni c’erano alcuni noduli, anche se piccoli. A intervento già programmato, mi hanno scoperto un carcinoma anche nell’altro: dalla mammografia e dall’ecografia non era emerso ma io avevo insistito per farmi controllare. La diagnosi, alla fine, l’ho avuta con la risonanza”.
Una ragazza appena sopra i trent’anni costretta a farsi asportare entrambi i seni. Che reazione hai avuto?
“Non ho scossato, sono rimasta tutta d’un pezzo, forse anche per proteggere mia madre ed evitarle di soffrire troppo per me. Ho guardato in faccia il cancro granitica, come se non riguardasse la mia vita. E ho affrontato tutto, dalla mastectomia bilaterale alla ricostruzione, passando per diversi cicli di chemio, riempiendo le mie giornate di tutto quello che non avevo fatto prima”.
A che cosa ti sei dedicata, per lo più?
“Sono laureata in Beni culturali, ho sempre avuto una passione per l’arte. Mi sono dimessa dalla palestra in cui lavoravo e mi sono iscritta per un anno all’Accademia, iniziando poi a fare mosaici nel laboratorio di Koko, a Ravenna. Poi ho preso l’abilitazione da guida turistica. Sono rientrata anche nel giro della biblioteca Classense, da cui ero lontana da un po’. Mi è mancata molto la pallavolo, questo sì: ho giocato per tanto tempo e ancora adesso, non poter più fare allenamenti e partite mi pesa”.
Chi ti ha supportata di più, durante la malattia?
“I miei genitori, senz’altro. Gli amici che mi facevano forza a turno. E poi l’arte, lo spirito di sacrificio che mi ha insegnato la pallavolo e la filosofia, che ho riscoperto proprio durante la malattia. Ma ho trovato persone meravigliose anche a livello sanitario, a partire dalla dottoressa Alba Pellegrini che mi ha operata a Faenza fino alla psico-oncologa dello Ior Elena Samorì, passando per l’oncologa Laura Amaducci che mi segue con grande professionalità da allora. Una mano fondamentale l’ho ricevuta, poi, da due servizi secondo me imprescindibili, sempre dello Ior: il progetto Margherita, che mi ha messo a disposizione la parrucca quando ho perso i capelli, e ‘La forza e il sorriso’, con le estetiste che mi hanno insegnata a truccarmi, regalandomi una trousse enorme. A volte mi dico che ero più bella quando stavo male rispetto ad adesso”.
Anche l’auto-ironia, forse, ti ha salvata…
“Credo di sì. Prima avevo una seconda scarsa di reggiseno, ora una terza abbondante. Dopo l’intervento di ricostruzione, guardarmi è stato scioccante: mi sentivo un cotechino in rete. Adesso, invece, mi vedo benissimo. Sapessi come mi dona il costume a fascia, quando vado al mare”.
Che vita fai, adesso?
“Faccio la terapia ormonale, che si concluderà passati cinque anni dall’intervento. Per ora non posso avere figli ma il sogno di farmi una famiglia c’è. Ci penserò quando mi sarà concesso”.
Hai cambiato il tuo modo di vedere le cose, dopo l’esperienza del cancro?
“Assolutamente sì. Cerco, se posso, di non fare cose che non ho voglia di fare. Sono più paziente, non do mai nulla per scontato. E metto in dubbio tutto. Per il resto, ho una gran voglia di vivere, di vedere ripagati i miei sforzi, di essere una bella persona. Dopo la malattia ho trovato un nuovo lavoro che mi piace e un nuovo fidanzato. Credo che lui sia la ricompensa più grande”.
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