Prima domenica, di turno. Seconda domenica, di turno. Terza domenica, di turno. Quarta domenica, di turno.

“Mamma dove vai?”

“Al lavoro”

“Ancora? Io lo odio il tuo lavoro, mamma“.

Potremmo metterci un punto. Fine della storia. Il finale lo ha deciso un capo turno di quelli – c’è da scommetterci – senza cuore o senza famiglia. Perché va bene un turno, su due ci si potrebbe discutere. Ma tutte le domeniche no, non va bene per niente. I bimbi a scuola in settimana e la mamma si becca il riposo quando a casa non c’è nessuno. E la domenica tutti insieme. Tutti tranne la mamma.
E’ una storia da terzo millennio quella che ci ha raccontato Michela. Dove tutto è h24 e sette giorni su sette.

mammaEh no, signor capoturno, non iniziare a scartabellare tra le schede del personale. Quello di Michela è un nome di fantasia. Lontano anni luce dal suo vero nome. E qui non troverai niente, nemmeno un indizio che ti possa ricondurre a lei. Ne troverai tantissimi invece che possano ricondurre a te.

Perché, caro il mio capoturno, c’è da augurarsi vivamente che lei una famiglia non ce l’abbia. Non ci spiegheremmo altrimenti tanta disumana organizzazione.

“Ho provato a spiegargli che non posso lavorare tutte le domeniche – ci racconta Michela -, che è l’unico giorno che in famiglia stiamo tutti insieme. Ma non mi sta a sentire. Dice che non c’è alternativa. Prendere o lasciare“.

Michela ha un contratto da 40 ore alla settimana. Lavora nel vero tempio della globalizzazione: un centro commerciale. Le domeniche un tempo erano più dilazionate. Poi, si sa, le esigenze aziendali hanno spinto ad alzare l’asticella del budget. “Da un po’ ci hanno aumentato i turni. Non mi sono mai lamentata, ho sempre lavorato senza creare problemi. Non capisco se mi stiano mettendo nelle condizioni di licenziarmi – spiega-. Ho provato ad andare dai sindacati ma mi hanno risposto di lasciar stare, di portare pazienza, che è meglio non andare allo scontro”. Che sai com’è, azienda grande, problemi grandi.

E così oggi Michela non ha scelta: o si mangia questa minestra o si getta dalla minestra, finendo nel calderone dei disoccupati. “Sono mesi che lavoro dalle tre alle quattro domeniche al mese. Così non posso andare avanti. I miei figli li vedo poco. Il più piccolo mi ha detto che odia il mio lavoro. Sono bambini, hanno bisogno di me e io e mio marito non possiamo permetterci di vivere con un solo stipendio”.

Capiamo, caro signor capoturno, che non le importi granché. La immaginiamo seduto alla sua scrivania, con un abito grigio come la sua fantasia e forse anche come il suo umore. Che sopra di lei ci siano tanti altri uomini grigi, la cui unica preoccupazione sia quella di arrovellarsi per raggiungere budget sempre più alti. Uomini senza figli o con figli soli, come quelli di Michela. Che sognano di passare del tempo con i loro padri e che chissà se mai ce la faranno. Come il figlio di quel calciatore romagnolo, che un giorno disse: “Sai papà, da grande voglio fare il calciatore anche io. Così resto sempre con te”.