Il progetto “Pronto soccorso emozionale neonatale” che l’associazione Psicologia Urbana e Creativa ha sperimentato lo scorso anno, per sei mesi, all’interno della Terapia intensiva neonatale (Tin) dell’ospedale di Ravenna, per il momento non si ripeterà. Eppure, come spiega la referente Beatrice Siboni (che avevamo intervistato all’epoca del lancio dell’iniziativa), le attività portate avanti tra le incubatrici hanno fatto registrare un gran bisogno, da parte delle famiglie dei bimbi prematuri, di ricevere un sostegno.

“Ma il bisogno lo abbiamo riscontrato – precisa la psicologa – anche tra medici, infermieri e operatori socio-sanitari, che spesso non sanno come comunicare con i genitori, quali parole usare, come porsi. Ecco perché abbiamo organizzato, ottenendo grande successo, un corso sulla comunicazione efficace e sul miglioramento del clima in ambiente stressante. Il personale ha molto apprezzato e questo ci fa sperare che, un giorno, il nostro progetto possa continuare”.

Al momento, dunque, le famiglie che sentono la necessità di un supporto, possono accedere solo al servizio che l’ospedale mette a disposizione per tutti i reparti: “Si tratta di tre psicologi che lavorano per l’intera struttura – spiega Giancarlo Piccinini, direttore dell’unità operativa semplice – e che sono, però, oberati di lavoro”.

A Ravenna i neonati ricoverati devono pesare almeno un chilo ed essere nati dalla 28esima settimana di gravidanza in poi: otto i posti letti, di cui tre per l’assistenza intensiva e cinque per quella sub-intensiva. Alle “cure minime”, invece, si dedicano le neonatologie dei presidi ospedalieri di Lugo e Faenza.

“I casi più gravi – spiega il dottore– vengono portati quasi sempre a Rimini o a Cesena. In generale, i dati sui ricoveri non sono stabili. Ci è capitato, di recente, di avere la Tin vuota. Il reparto risente senza dubbio del calo della natalità. In ogni caso, la media è di circa 200/250 ricoveri all’anno“.

A Ravenna, per le famiglie, non funziona il cosiddetto modello di apertura h24 che a Rimini, come ci aveva raccontato Gina Ancora, è motivo di vanto. “Anche in presenza di precisi orari di accesso, come da noi, si può essere comunque più flessibili di un tempo. Rispetto a qualche anno fa siamo diventati molto più elastici: è una questione di umanità”.