
(foto Augusto Bizzi)

Sorpresa. Attesa. Emozione. Si respira tutto questo a casa di Emanuele Lambertini, l’unico atleta minorenne che dall’Emilia-Romagna raggiungerà Rio de Janeiro, in settembre, per la Paralimpiadi. Diciassette anni, residente con la famiglia a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, Emanuele è un atleta della Zinella Scherma San Lazzaro di Savena. Che gli piacesse combattere in carrozzina, vista la rarissima malformazione vascolare alla gamba destra che ha portato, a soli otto anni, all’amputazione transfemorale, lo ha scoperto qualche anno fa dopo aver tentato altri sport.
A motivarlo, la gran forza d’animo che – come racconta la mamma, Laura Ferioli – Emanuele ha sempre avuto, un po’ per carattere e un po’ per reazione all’infanzia da incubo che ha trascorso: “Mio figlio è senz’altro stato fortificato dall’esperienza della malattia, del dolore fisico, delle terapie sbagliate, dell’amputazione. Io e mio marito, d’altro canto, non lo abbiamo mai tenuto nella bambagia, spronandolo invece a reagire, anche per non farlo sentire diverso”.
Emanuele, alla nascita, presenta una sorta di angioma piatto e rosso sulla gamba destra. Nulla di che, secondo i medici: “Ci avevano tranquillizzati spiegandoci che si sarebbe riassorbito. Invece, durante il primo anno di vita, si è continuato a ingrossare e anche la gamba ha preso a gonfiarsi. Emanuele è stato sottoposto a terapie a base di cortisonici, biopsie, protocolli sperimentali di chemioterapie. Ma la situazione non faceva che peggiorare. Siamo stati in Francia, negli Stati Uniti, io ho lasciato il lavoro perché eravamo sempre in giro alla ricerca di una soluzione”.
Fatto sta che Emanuele, a un tratto, presenta delle ulcere che non guariscono più, le emorragie diventano frequenti e rischia la vita, finendo in rianimazione: “All’età di otto anni, a Parigi, i medici lo hanno chiamato dentro, da solo, proponendogli l’amputazione. Lui, che capiva bene il francese visto che era in ospedale da mesi, non ha esitato. Era troppo stanco di stare male. L’intervento è stato difficilissimo, sapevamo che avrebbe potuto non farcela. E invece, anche se è uscito dalla sala operatoria senza una gamba, riuscendo a mettersi sulle stampelle dopo quattro mesi, si è trasformato in un altro bambino. Era così contento di stare bene, che ha accettato senza problemi la nuova situazione”.
Ed è il Comitato italiano paralimpico, un giorno, a proporre al bambino la scherma: “Emanuele, da quando ha iniziato, non l’ha più lasciata. Ha avuto la fortuna di trovare una grande maestra, Magda Melandri, non si è mai fatto scoraggiare dall’idea della fatica e nemmeno dalla distanza, visto che per ogni allenamento doveva farsi trenta chilometri. La scherma lo ha aiutato anche a sviluppare autonomia e indipendenza”.
Non a caso anche oggi l’atleta, tre volte a settimana, con le stampelle e la carrozzina nella valigia prende il treno, si va ad allenare e poi torna a casa: “Anche a Rio andrà da solo. Non solo perché è indipendente e vuole vivere quest’esperienza così ma anche perché a casa siamo pieni di impegni, visto che le sorelle iniziano la scuola, in particolare Matilde che va in prima superiore e Caterina che va in prima media”. Ma Laura ha così tanta tempra che, nonostante il calvario della malattia del figlio, non ha fatto rinunce rispetto alla maternità. E tre anni fa è diventata mamma anche Benedetta: “Siamo sempre stati una sorta di équipe familiare, nonni e zii compresi. Senza la collaborazione di tutti, non ce l’avremmo mai fatta”.
Laura, nel frattempo, ha ripreso a lavorare part-time. Emanuele è entrato a far parte dell’associazione art4sport fondata dai genitori di Beatrice Vio (l’avevamo intervistata qui) per aiutare i bambini e i ragazzi amputati o nati senza un arto a integrarsi attraverso lo sport: “Non avrei mai pensato, nella vita, di trovarmi Emanuele alle Olimpiadi. Seguitelo, mi raccomando”.
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