Sua figlia Silvia, dieci anni, qualche giorno fa le ha detto che quando diventerà mamma potrà affidarle i suoi figli, visto che sarà senz’altro una nonna attiva, in forma e senza acciacchi. Osservazioni davanti alle quali la bolognese Francesca Sanzo, una delle prime blogger italiane, oggi copywriter e digital coach, ha sorriso soddisfatta: “Il messaggio, evidentemente, è arrivato. Oggi sono una donna in grado di prendersi cura di se stessa”. Lo è dopo la “muta”, il fortissimo dimagrimento – accompagnato da una rivoluzione mentale e psicologica – che ha raccontato in “102 chili sull’anima. La storia di una donna e della sua muta per uscire dall’obesità” (Giraldi). Con lo stesso editore l’autrice torna oggi in libreria con “A due passi dalla meta. Come uscite dalla sedentarietà, mantenersi in forma e nutrire la propria creatività” dove racconta quel che è stato dopo quel 27 settembre del 2014, quando la bilancia ha segnato finalmente 60 chili dopo un passato da obesa. La prima presentazione è in programma giovedì 20 ottobre alle 18 alla Feltrinelli di piazza di Porta Ravegnana 1 a Bologna.
Francesca, i 60 chili non sono un punto d’arrivo. In che senso?
“Per stare bene, ho imparato che è necessario avere sempre delle mete, che sono diverse per ogni persona e diverse anche nel corso della vita. Il mio libro, come del resto il precedente, non si occupa di dimagrimento ma dell’opportunità di tornare e relazionarsi con il proprio corpo in modo sano e tornare a occuparsi di se stessi”.
Nel libro si parla di manutenzione, non di mantenimento. C’è un significato preciso dietro questa nuova parola?
“La parola mantenimento è asettica e mi richiama il concetto di dieta. Io, invece, parlo di un equilibrismo costante tra corpo e anima, del sentire se stessi, le proprie paure e i propri desideri, attraverso il corpo e il movimento. I momenti in cui corro e nuoto sono quelli in cui parlo di più me stessa, in cui avverto di più le mie idee e i miei progetti: è come se mettessi tutto insieme. E in questo senso sono momenti di grande creatività, perché un flusso di emozioni mi attraversa e io apro la porta per accoglierle, accettarle, riconoscerle”.
Oltre al movimento, tappa fondamentale di questa liberazione è la scrittura. Scrivere è terapeutico?
“Lo è ma solo se ti porta a compiere azioni, ad attivare energie che si mettono in circolo. La scrittura autobiografica fine a se stessa e lamentosa rimane ombelicale. E non porta a un cambiamento. Non possiamo rimanere fermi a Jacopo Ortis”.
In questa continua elaborazione, in che rapporto stanno l’illusione di rimanere in forma e quella di tornare agli anni in cui eri obesa?
“Il grande orgoglio che provo fa ovviamente i conti con la realtà. Due mesi e mezzo fa, per esempio, ho smesso di fumare e ho messo su tre chili. Quando l’ho scoperto, sono andata in forte crisi. Ho iniziato a pensare che forse non mi meritavo di essere magra, che io in realtà sono obesa e quello dei sessanta chili era stato un sogno. Poi mi sono fermata a riflettere: ho capito che quella che stava parlando dentro di me era la mia anima nera, quella con cui tutti facciamo a botte. Sono stati giorni pesanti anche se, adesso, a riparlarne mi pare una grande sciocchezza”.
Il tuo corpo è ora una mappa nuova. A cosa tieni di più?
“A livello estetico sono molto fiera delle braccia: sono finalmente toniche e cerco sempre di valorizzarle quando mi vesto. Mi ricordano anche il mio passato, quando nuotavo a livello agonistico. Ma tengo enormemente di più alle smagliature sulla pancia, che non nascondo mai ma tento sempre di mostrare: sono il segno dell’obesità, della gravidanza, degli yo-yo con il peso. La mia anima, in fin dei conti, è lì: nella mia pancia”.
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