“Bocciare? Non ha quasi mai senso”. Raffaele Iosa, ravennate, ex ispettore per l’Ufficio scolastico regionale da quattro anni in pensione (“ma continuo a dare una mano”), non crede nei voti, tantomeno nel fatto che un alunno venga bocciato. Il che non significa, secondo lui, essere buonisti e regalare la promozione: “Piuttosto, bisogna concentrarsi sul’aiutare chi fa fatica e sul dare di più a chi ha di meno. Senza dimenticare, certo, di aiutare i capaci e i meritevoli soprattutto quando le famiglie non li possono sostenere economicamente”.
A livello statitico, in Emilia-Romagna la bocciatura è un fatto rarissimo alla scuola primaria, un po’ più frequente ma sempre in maniera relativa alle medie e preventivabile alle superiori, dove i ragazzi vengono già selezionati al ceto sociale di appartenenza: “Ai licei, dove non si boccia quasi mai, vanno ancora i figli delle famiglie benestanti e con un buon livello culturale. Opposto il caso dei professionali, dove finiscono anche alunni bravi, come molti deli stranieri, ma con un livello di reddito basso: lì, l’atteggiamento dei docenti, è più frequentemente quello di salvarli”.
A tutti i livelli scolastici, però, secondo Iosa il tema vero è un altro: “Che cosa fa la scuola per rispettare le risorse, le capacità e le potenzialità di ogni alunno? Non dimentichiamo mai che è la scuola a doversi adattare ai bambini e ai ragazzi, non il contrario“. Iosa lo dice anche da esperto di disabilità, dove il discorso del mettersi al livello dell’alunno è più che mai centrale: “Ho iniziato a fare il maestro negli anni Settanta, sulla scia di Don Milani. La mia storia è un po’ un’eccezione: mio padre faceva il tranviere, mia madre la contadina. Ma sono ruscito a laurearmi, a vincere concorsi pubblici, a diventare un dirigente dello Stato. Per me la scuola è stato l’ascensore sociale che per molti, ancora, non è”.
Il punto è che non è facile avere la mente larga e considerare la scuola molto più dell’istituzione che appiccica voti addosso agli alunni: “Molto spesso i genitori sono dei veri e propri sostenitori dei voti, convinti che ci sia una competizione da vincere, più che un percorso educativo da fare. Invece bisognerebbe preferire la valutazione formativa e non selettiva, come alle elementari spesso si fa, che serve anche all’insegnante a capire come ha lavorato”.
Discorsi che, in Emilia-Romagna, sono comunque edulcorati dai dati: “Abbiamo una buona scuola, anche sul fronte dell’inclusione. L’80% dei ragazzi arriva a finire il ciclo di studi. Nel caso dei disabili, approdano alla maturità quasi sette studenti su dieci. Siamo pieni di guai, ci mancherebbe. Ma la tendenza è buona”.
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