Mettersi la gonna, la domenica. Dover rispondere a un nome femminile, quando dentro non ti senti una bambina. Mattia, 34 anni, di Lugo, è tra i membri del Gruppo Trans* di Bologna che insieme a UniLGBTQ ha organizzato lunedì 19 giugno alle 20 il convegno “Quale futuro per le persone trans* e intersex in Italia?”, evento promosso dall’Università di Bologna, che lo ospiterà nello spazio dedicato agli eventi estivi in Piazza Scaravilli.

Illustratore libero professionista, Mattia ha ripreso la psicoterapia ‘propedeutica’ all’inizio della terapia ormonale un anno fa, dopo avere sospeso tutto quando aveva vent’anni e aveva capito che no, il suo disagio non faceva rima con omosessualità: “Per diversi anni sono stato convinto, visto che mi piacevano le bambine e le ragazze, di essere lesbica. Solo ai primi anni di università mi sono accorto che, invece, non mi sentivo bene nei panni di una femmina, che desideravo essere un maschio. Cosa che ho capito bene durante la relazione lunga sei anni che ho avuto con una donna”.

La ripresa del percorso di transizione, per lui, è coincisa con la ristrutturazione della sua nuova casa a Bologna, cosa che lo ha portato a tornare dai genitori per tre mesi: “E così, in famiglia, dopo anni di silenzi e non detti, ho ripreso in mano l’argomento, non trovando però una piena comprensione. Mia madre e mio padre sono persone d’oro, di cultura medio-alta. Ma questi sono ancora temi poco approfonditi e, soprattutto quando si è coinvolti emotivamente e in prima persona, non si hanno a volte gli strumenti giusti per affrontarli. Io sono abituato fin da piccolo a essere scambiato per un maschio, anche se spesso i miei genitori intervenivano per spiegare che invece ero una femmina, prendendo il mio modo d’essere per un modo di fare. Dalle medie in poi, mi sono sempre vestito come un ragazzo ma ancora oggi, non aderendo a un modello machista e non avendo la barba, se esibisco i documenti non ci sono reazioni strane. Almeno, durante l’ultimo anno non mi è mai capitato”.

In fondo Mattia si è sempre sentito accettato, anche a scuola: “Sono stato rappresentante di classe alle superiori, non mi sono mai nascosto e non sono mai stato vittima di prese in giro. Non andavo certo in giro a dire a tutti che mi sentivo un ragazzo, ho buttato tante volte dentro il disagio che provavo. Ma ai genitori che si trovano in una situazione come quella che ha interessato i miei, io dico di non nascondere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi. Di non cercare di non vedere per la paura e la vergogna. Negare le situazioni non porta a nulla: capisco che la disforia di genere sia una cosa grossa ma fare finta di nulla lo è altrettanto”.

Oggi Mattia è in prima linea perché, a livello legislativo, l’Italia superi la legge 164 del 1982 che è sempre stata interpretata nella direzione che molte persone transessuali non vorrebbero: quella secondo cui, per vedersi riconoscere il cambio di sesso, è necessario intervenire chirurgicamente sui genitali. Legge che, nel caso della modenese Milena Bargiacchi, è stata invece dribblata, con l’ottenimento dei documenti al femminile pur senza l’intervento: “L’identità di genere – spiega Mattia – dovrebbe andare oltre quello che una persona ha nelle mutande, perché è un fatto privato. Sergio Lo Giudice quattro anni fa è stato il primo firmatario di un disegno di legge, il 405, che va oltre l’impostazione di trent’anni fa. Ma tutto è lì ad ammuffire in Parlamento. Lunedì vogliamo tornare a parlarne, senza dimenticare le persone intersex, di cui viene negata l’esistenza”.

Al convegno interverranno il Senatore Sergio Lo Giudice, primo firmatario del disegno di legge 405 del 2013; la presidente CGIL Emilia Romagna Antonella Raspadori; il consigliere regionale Antonio Mumolo, secondo firmatario della proposta di legge regionale contro le discriminazioni e la violenza determinate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere; Antonio Rotelli in rappresentanza di Rete Lenford; Alessandro Comeni, co-fondatore OII Europe e OII-Italia.