Per dirla in termini semplici, Martina Tarlazzi la chiama “la sindrome della felpa”. Molto più seriamente, la domanda che sta dietro l’innovativo progetto della 27enne pedagogista di Solarolo è profondissima: “Nessuno si chiede mai se una persona disabile abbia anche voglia di essere curata. Una doccia è una doccia, che importa se il diretto interessato la preferisce bollente o tiepida. E le sopracciglia? E la crema nelle mani? E un massaggio?”.
“Make up your smile” è la sperimentazione che Martina sta portando avanti, prevalentemente, all’ospedale di Montecatone, dove sta mettendo in pratica i suoi studi sull’educazione al bello, sulla pedagogia del corpo e sulla relazione tra bellezza e contesti riabilitativi, tra bellezza e ospedali: “Sono partita da zero, imparando io stessa a truccare o a fare una manicure. Sentivo infatti la mancanza, nel sociale, di una questione estetica nel mondo della disabilità. Le famiglie non hanno tempo, lo posso capire. Ma l’operatore, un occhio estetico, deve averlo. Ci vuole rispetto delle tappe evolutive della persona, della sua dignità: non si può pensare che il disabile, soprattutto quello intellettivo, voglia avere sempre la stessa tuta addosso o essere vestito come un bambino a quarant’anni. L’identità si forma nello specchio con l’altro: se i caregiver non danno ai disabili un paradigma migliorativo, se non li spingono al bello, nemmeno la persona che hanno davanti sentirà di avere quel bisogno, quell’esigenza”.
Così ogni due settimane Martina raggiunge la sua équipe di volontari ed educatori a Montecatone, dove tre ore vengono dedicate alle coccole dei pazienti con una disabilità fisica acquisita che desiderano un massaggio co gli oli caldi, una maschera al viso, le sopracciglia curate: “Un’ora è per gli allettati, una per i post-acuti e una per i familiari. In un’atmosfera rilassante, con la musica giusta e le candele profumate, regaliamo uno spazio personalizzato a persone costrette a vivere per mesi la realtà ospedaliera. Due settimane fa ho massaggiato una donna tetraplegica che lavorava come estetista: è stato d’impatto essere lì con lei, che al bello era abituata e che ora deve vivere questa nuova condizione fisica. Con lei, così come con altri pazienti, ci si rende presto conto che la disabilità è una condizione accidentale, che fa parte del mondo e non è, al contrario, un mondo a sé”.
E mentre è in corso l’ora di relax, non si parla dell’evento traumatico che ha portato i pazienti a Montecatone: “Quell’ora serve a staccare, a parlare delle cose normali, a respirare, a dimenticare, a creare una bolla di pensiero nuovo. Io non indago mai sull’incidente. Al massimo, indago su quale profumo piace alla persona che ho di fronte”. E a Martina capita di incontrare anche parecchio adolescenti e giovani: “Ogni volta sono emozioni molto forti, vite che ti porti a casa. Ogni volta rientro con l’idea di portare attenzione alle persone oltre la loro disabilità. Sono pazienti che hanno voglia di sognare, di immaginarsi un futuro, anche di scherzare e non parlare soltanto della riabilitazione“.
“Make up you smile”, che a Montecatone si avvale di due volontari dell’omonima Fondazione (di cui un’ex paziente) e di altre persone del servizio civile e della Croce Rossa, è attivo anche al Centro documentazione handicap di Bologna, dove si integra a un progetto già esistente su disabilità intellettiva e corporeità, e nel gruppo adolescenti della sezione della Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) di Pavia: “Il mio sogno sarebbe fare formazione e dedicare uno spazio per il benessere in ogni ospedale”.
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