Pre-adolescenti, questi sconosciuti. Pellai: “Aspettatevi di tutto”

Imprevedibili, incontrollabili. Dai pre-adolescenti, i genitori, dovrebbero aspettarsi un po’ di tutto, nel bene e nel male, contraddizioni comprese. Che chiedano, magari, di essere lasciati a 300 metri dalla scuola perché si vergognano di farsi vedere con mamma e papà e che poi, la sera, vogliano le coccole sul divano. Lo raccontano il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai e la psicopedagogista Barbara Tamborini (che nella vita sono anche una coppia e hanno quattro figli) nel libro “L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente” (DeAgostini).
Pellai, in che fase si deve collocare, la pre-adolescenza?
“Negli anni della scuola media. C’è chi inizia a manifestarne i segnali prima, chi supera la fase dopo. Quello che importa, sono i primi sintomi: i figli iniziano a non funzionare più come prima, hanno un pensiero su di sé divergente da quello dei genitori, le loro richieste di autonomia aumentano, il corpo cambia, si chiudono più spesso in bagno. E creano intorno a sé una zona di mistero, non raccontandoci più tutto”.
Qual è la reazione dei genitori, in genere?
“I genitori smettono di essere, agli occhi dei figli, dei supereroi. Non hanno più la m e la p maiuscole. Vivono male, in genere, la rabbia che i figli manifestano nel tentativo di separarsi da loro: il pensiero critico, l’aggressività, le frasi a volte terribili che si sentono dire. Si aprono, per loro, nuove e innumerevoli sfide. La prima è capire che il modo che hanno avuto fino a quel momento di guardare e gestire i figli non va più bene”.
Chi fa più fatica, i grandi o i piccoli?
“I grandi ne fanno sicuramente moltissima nel tentativo di inventarsi un nuovo modo di essere mamma e papà. Ma anche i pre-adolescenti ne fanno: le emozioni sono al massimo, si può essere felicissimi e disperatissimi. La tappa evolutiva che vivono è uno scalino grande. Insomma, nemmeno per loro è facile. Non riuscendo a valutare cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è sbagliato, rischiano di fare enormi pasticci”.
Come entrano in gioco i limiti?
“Proprio qui. Il rischio è che i genitori liquidino la pre-adolescenza come un periodo che passerà. Così facendo, l’errore è aspettare che i figli attraversino questa fase senza un progetto di crescita. No, siccome i figli vivono sull’onda della spinta esplorativa e dell’emotività, è necessario che lo facciano in un territorio protetto da confini indicati in modo chiaro. La percezione del punto al quale possono arrivare e che non devono varcare dev’essere precisa. In questo senso, la pre-adolescenza assomiglia a quel periodo dei due/tre anni in cui i bambini allenano i figli alla resistenza, spostando sempre un po’ più in là il confine della loro pazienza, per sondare fino a dove possono spingersi. Solo che, questa volta, la sfida non si gioca più in casa”.
Ci sono molte differenze, rispetto all’adolescenza vera e propria?
“Nella pre-adolescenza si vedono le stesse sfide evolutive dell’adolescenza. Ma mentre in adolescenza il ragazzo chiude la porta, esce di casa e il genitore ‘se lo dimentica’, nella pre-adolescenza il ragazzo ha sempre un occhio puntato sull’adulto, da cui si aspetta sempre e comunque la supervisione, il controllo”.
Pericolosi, questi pre-adolescenti?
“Da tenere sott’occhio. Se chiediamo loro perché hanno fatto una cosa che non avrebbero dovuto fare, spesso rispondono che non lo sanno, il perché. Noi grandi rimaniamo spiazzati. Ma davvero, il loro cervello il più delle volte non riesce a prevedere gli esiti di certe azioni”.

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