Telefonarsi, tra mamme alle prese con più figli in età diverse, pare a volte un miracolo incompiuto.

-Quando ci sentiamo?
-Domattina mentre sono al lavoro, ok?

Ma quando lei chiama sono in riunione, quando io le ritelefono mentre sfreccio all’asilo lei sta allattando e quando lei ci riprova (perché ha dieci minuti d’aria) sta suonando la campanella delle elementari.

Il giorno dopo mio figlio è ammalato, quello ancora successivo lei ha un contrattempo e così, dopo vari “scusa scusa” e “ce la possiamo fare” inviati su Messenger, dopo un trascinarsi infinito del nostro quarto d’ora di chiacchiere, arrivano le 22 e 38 del venerdì sera.

-Che fai?
-Guardo Pinocchio col piccolo, la grande è a un pigiama party, quell’altro a una cena di lavoro. Tu?

-Il grande è a dormire dai cugini, quell’altro è uscito.
-Il piccolissimo dorme?
-Siiiiii
-Ti chiamo?
-Siiiiii

-Eccoci, finalmente
-Che strana sensazione la casa vuota. Oddio no! Si è svegliato!

Intanto Pinocchio finisce, lavo ai denti al baby, leggiamo quelle sei o sette storie di rito serale e non siamo neanche a metà che il telefono inizia a suonare.

Poi arriva un whatsapp: “L’ho sedato ma ora sarai inguaiata tu”.

Mentre aspetto che mio figlio si addormenti davvero per chiamarla rischio io il collasso sul letto. Ho un occhio ancora mezzo aperto quando mi rendo conto che la casa è avvolta da un silenzio totale.

Mi chiudo in cucina e la chiamo, stando attenta a non tenere il tono della voce troppo alto.

Sono sedici minuti in cui parliamo di figli, di inserimenti all’asilo, di svezzamento, di uomini, dell’ultimo libro di Simona Vinci, di Silvia Avallone che coccola i neonati al Sant’Orsola, di offerte di lavoro, di riflessologia plantare, di ascessi ai denti, di psicologia dell’età evolutiva.

Riusciamo anche a darci un appuntamento tra qualche settimana a Bologna, possibilmente senza figli.

Quando chiudo la telefonata, giuro, sono le 23,59. Ce l’abbiamo fatta e non è nemmeno domani.