Entro in punta di piedi, forse è la prima volta che non faccio domande. Oggi non mi spetta. Di Montecatone ho scritto, ho sentito parlare. Come fosse un’entità lontana, un mondo a sé. Oggi entro grazie a Martina Tarlazzi, la pedagogista di Solarolo che qui dentro – nell’ospedale vicino Imola per la riabilitazione di chi ha gravi lesioni spinali e cerebrali – porta avanti da due anni un progetto bellissimo: “Laboratorio benessere”. Non dovrebbero esprimere giudizi, quelli del mio mestiere. Ma in questo caso un’eccezione è d’obbligo. Quattro ore al mese (due per gli allettati e due per i post-acuti) sono dedicate a massaggi, creme, coccole, smalti, oli profumati, sopracciglia da sistemare e maschere per il viso. Perché il bello, in un ospedale, può entrarci eccome. Perché chi passa tanti mesi qua dentro ha voglia, per un po’, di non parlare di incidenti e traumi.
Questa sera ci sono tre nuove persone (un’infermiera di Rimini e due ragazze del servizio civile) a dare manforte all’équipe dei volontari: oltre a Martina, che il progetto “Make up your smile” l’ha inventato, ci sono Massimo, l’educatore, e poi Monica, che è in carrozzina, e Cristine. Chiedono agli otto giovanissimi che hanno accettato l’invito a partecipare (sei maschi e due femmine) di spegnere i telefoni, di tenere la voce bassa. Parte una musica rilassante, che è l’unico suono a dover fare da padrone qui dentro.
Elma, 16 anni, di Bologna, lunghi capelli neri e un viso bellissimo, è una delle prime a rilassarsi. Chiede spesso di potersi guardare allo specchio, parla di tinta per i capelli e del suo inequivocabile accento. Simone, 21 anni, chiede tutto: la maschera, il massaggio al collo, le sopracciglia: “Io la faccio venire spesso l’estetista qui, questo progetto è super”. Sembrano più scettici Davide e Marco, che però piano piano si lasciano andare e alla fine sono rilassati quanto gli altri. C’è anche Alexandru, che fatica a usare le mani ma tra una coccola e l’altra riesce a sorridere e a fare battute con i suoi compagni di disavventure. E poi Aurelio, 15 anni e Mattia, 19, che qui dentro sembrano dimenticarsi della carrozzina. Infine Emanuela, l’unica che è entrata nella stanza con le sue gambe e che si fa fare le mani dalla sorella per poi concedersi un lungo massaggio al collo.
Le loro storie restano per un attimo fuori, anche se ogni tanto trapelano: “Sono qui da nove mesi – racconta Davide mentre Martina gli increma le mani -. Sto iniziando a muovere i primi passi, intanto ho deciso di darmi allo sport, alla scherma”. E gli occhi gli luccicano. “Tu dove ce l’hai, la lesione?”, chiede Mattia a Elma. “In basso, non mi ricordo il nome. Ogni volta me lo dicono ma io lo dimentico”, risponde lei.
Mano a mano che si fa sera, dal brusio iniziale si passa a un silenzio quasi surreale. Mi guardo intorno e hanno quasi tutti gli occhi chiusi. Sembra solo un luogo di bellezza, l’ospedale, in questo momento. C’è spazio solo per una tisana caramello e vaniglia o per un tè agli agrumi, per i biscotti al cioccolato e per la buona notte. Ogni tanto qualche mamma si affaccia, qualche parente pure. C’è anche chi entra, chi scatta una foto con lo smartphone e che si siede per farsi massaggiare. Due ore al mese, infatti, sono dedicate ai familiari dei pazienti.
A pochi passi, poco prima, Martina e le sue nuove “alleate” avevano raggiunto alcune signore allettate ma desiderose di farsi belle o concedersi due chiacchiere spensierate tra il profumo di lavanda e l’Aloe vera. Come Silvana, attaccata alla flebo, di cui leggi solo il labiale a causa della tracheotomia ma che parla benissimo con gli occhi: si fa limare le unghie delle mani e dei piedi, massaggiare il viso, sistemare le sopracciglia. Ci mette poco a chiudere gli occhi, non è la prima volta che partecipa al progetto. Sarà qui anche la prossima volta, tra due settimane – fa capire – perché la sua non sarà una convalescenza breve. Prima di salutare le volontarie prova a farsi passare il borsellino, vorrebbe pagare. Ma Martina la ferma: “Niente soldi Silvana, è tutto gratis, a noi fa solo piacere farti stare bene per un po’”.
Dopo di lei Anna, che è in una stanza da sola, al buio, con la musica nelle cuffie: “Oggi sono triste, vi ringrazio…”. Ma dopo mezzo minuto si sta già facendo coccolare.
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