Lo spunto è stato “qualcosa che non si dovrebbe fare” ma che molti genitori, innocentemente, fanno: prendere lo smartphone dei propri figli per spiarne le conversazioni su WhatsApp e sugli altri social. Così la pedagogista ravennate d’adozione Eva Preto (che avevamo intervistato sulla sofferenza dei bambini, argomento del suo libro) si è resa conto per la prima volta di quanto i messaggi che i ragazzini e le ragazzine si mandano quotidianamente siano vuoti: “Faccine e parolacce. Frasi banali e spesso aggressive. Un mondo che non fa che perpetuare la diseducazione. E che ho chiesto anche ad altre mamme di analizzare, ricevendo gli stessi riscontri che ho avuto guardando il cellulare di mio figlio undicenne”.
Come si fa, allora, a interrompere il circolo vizioso? “Oggi pullulano i corsi di formazione su Internet e nuove tecnologie pensati per i genitori. Ben vengano, per carità. Anche i genitori devono essere informati e capire come si gestisce il rapporto dei figli con i dispositivi digitali. Ma i veri protagonisti restano poi i giovanissimi, che usano una comunicazione che definirei svalutante”.
A tutto questo, secondo Preto, si aggiungono due aggravanti: “Oggi la pre-adolescenza e di conseguenza l’adolescenza iniziano prima, portandosi dietro anche la parte legata all’uso delle tecnologie. Non solo: credo che molti ragazzi vivano passivamente quel modo di mandarsi messaggi e dirsi le cose, come se si adattassero. Io non ce l’ho con i social e il web ma le opportunità che danno di comunicare vanno utilizzate in altro modo. E i ragazzi sono i primi a doverlo sapere e imparare”.
L’idea di Preto è di organizzare piccoli gruppi pomeridiani di adolescenti per lavorare su questi temi, con il sogno di portare il progetto dentro le scuole.
Info: 389/2373389
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