Forse si può fare tutto. Se sei disposta a non vedere mai i tuoi figli, ad affidarli sempre a terze persone. Anche le donne di scienza, in materia di opportunità professionali e di carriera ma anche di conciliazione lavoro-famiglia, di rospi da mandare giù ne trovano eccome. Una delle storie che arriva dal territorio locale è quella di Simona Simoncelli, 42 ani, ravennate, che in realtà non piange troppo sul precariato. Ma che ben sottolinea i tanti compromessi ai quali le donne che vogliono fare il suo mestiere devono sottostare per tenere in equilibrio tutto.
Simona è una ricercatrice dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Bologna, ha due figli di dieci e quattro anni e un marito che per una parte dell’anno lavora fuori, anche all’estero: “Non punto il dito contro l’ambiente scientifico, non ho mai avvertito al suo interno discriminazioni nei confronti delle donne. Il problema è generale e tutto italiano: da un lato la mancanza di politiche efficaci per la famiglia e di un welfare che realmente sostenga le mamme e dall’altro la condizione del mondo della ricerca, ben poco considerata rispetto ad altre parti d’Europa e del mondo. Nel mio caso, da otto anni lavoro con contratti a termine, che vengono rinnovati solo se i finanziamenti sono confermati”.
Simona, in tutto questo, ha trovato il lato positivo: “Sono in una équipe che mi dà la possibilità di non andare sempre a Bologna ma di poter lavorare anche in un laboratorio di Ravenna. Di recente ho avuto una proposta interessante da un istituto di ricerca: tempo indeterminato ma orari rigidissimi. Per crescere e gestire i miei bambini ho dovuto rifiutare. Ecco, non è tanto la scienza in sé a penalizzarci ma il lavoro in generale, quando diventiamo mamme”.
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