Autismo, a Ravenna aumentano diagnosi, richieste di valutazione e bimbi in attesa

Genitori più sensibili e attenti ai primi sintomi sospetti. Pediatri più formati. Sistemi di valutazione migliori. Le diagnosi di disturbi dello spettro autistico continuano a crescere, almeno in provincia di Ravenna, dove nel 2017 sono stati registrati 37 nuovi casi. Il confronto con il 2016 non è così rilevante se si guardano solo alle nuove diagnosi, che l’anno prima erano state 35.

Ma a rendere il quadro tutto fuorché roseo è l’ingorgo dei servizi, come confermato dalla responsabile dello Spoke Autismo Patrizia Siboni: “Al di là delle diagnosi che siamo riusciti a fare nel 2017, tredici delle quali riguardanti bimbi sotto i tre anni, stiamo ancora smaltendo alcune richieste arrivate prima della fine di dicembre. La lista d’attesa, insomma, c’è. E pur raddoppiando le ore del personale a disposizione, stare dietro a una mole di lavoro così ingente è complesso”.

A rimetterci, alla lunga, potrebbe essere il trattamento continuativo e individualizzato che nelle realtà di Ravenna, Faenza e Lugo viene riservato ai bambini con autismo dalla diagnosi fino a sei anni di età: “Quattro ore settimanali di terapia, di cui due domiciliari, che in realtà come Rimini e Forlì non sono affatto garantite. Una opportunità importante per le famiglie, che però fa sempre più spesso i conti con la non sufficiente copertura oraria da parte degli educatori. Non solo: anche quando se ne assumono di nuovi, non sempre hanno le competenze specifiche per un disturbo come l’autismo”.

Anche sull’educatore a domicilio la situazione non è idilliaca: “Dobbiamo ancora andare a regime. Alcuni bambini sono in attesa di usufruire di questa opportunità”.

Tutto cambia, secondo il Pria (Programma regionale integrato autismo), dai sette anni, quando l’Asl riesce a passare ai pazienti cicli di terapia, per lo più in gruppo: “Giustamente le famiglie dei bambini che abbiamo diagnosticato noi e che fino a qualche mese prima avevano accesso alle quattro ore settimanali, vorrebbero di più. Ma sono in molti casi costrette a rivolgersi al privato“.

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