Aveva 19 anni, Francesco e ne aveva sedici, sua sorella Rossana, quando nel 2016 si sono messi a dialogare per iscritto con il padre, il giornalista Aldo Cazzullo, sull’importanza di cellulari e tablet nella vita di tutti i giorni, nelle relazioni, nel modo di essere e comportarsi. Ne è nato “Metti via quel cellulare” (Mondadori) di cui l’autore parlerà venerdì 28 settembre alle 9,30, nell’ambito della Settimana del Buon Vivere, alla Chiesa di San Giacomo di Forlì. Dove Cazzullo tornerà alle 18,30 per presentare “Giuro che non avrò più fame. L’Italia della ricostruzione” (Modandori) dedicato agli italiani dopo la guerra.
“I miei figli non sono dei veri nativi digitali – spiega Cazzullo -. Abbiamo giocato ad acchiapparella e a nascondino, prima della Play Station e dello smartphone. Ciò non toglie che per loro, la rete, sia irrinunciabile e pervasiva. Perché il cellulare, ai loro occhi, mica è un telefono: è, invece, un trampolino per gettarsi in quel grande mare magnum che è il web“.
Il dialogo intrapreso nel libro parte, in effetti, da posizioni molto divergenti, per arrivare a qualche punto in comune: “I miei figli mi hanno dato senz’altro ragione sul fatto in rete nulla è gratis, che c’è sempre un prodotto di mezzo. E che quel prodotto siamo noi. Credo di averli anche suggestionati intorno all’idea che ai miei tempi, per comunicare, bisognava incontrarsi, guardarsi negli occhi, parlarsi. Al contrario di quel che avviene oggi, quando ci si manda faccine da un banco all’altro perché non si è capaci di dirsele, le cose“.
Certo è che pure gli adulti si sono fatti inghiottire: “Rossana e Francesco mi dicono spesso che dovrei essere l’ultimo a parlare. Capita che noi adulti siamo dei pessimi esempi per i figli, per poi arrabbiarci se tengono l’iPad in una mano e l’iPhone nell’altra, come ho visto fare a mia figlia“.
Allora qual è, il punto di equilibrio? “Non certo rinunciarvi quanto evitare che questi dispositivi prendano possesso di noi. Il rischio, dietro l’angolo, è infatti quello di un impoverimento umano. E da lì a degenerare nell’individualismo, poi nel narcisismo, il passo è breve. Tendiamo a voler fare sapere al mondo tutto di noi: che cosa mangiamo, dove siamo, come ci vestiamo. Per poi accorgerci che agli altri, di noi, non importa nulla. E allora diventiamo aggressivi. E se non siamo d’accordo su qualcosa, non scriviamo che non siamo d’accordo: insultiamo, minacciamo, calunniamo”.
Quello che fa più paura a Cazzullo è che i genitori, dal canto loro, usino cellulari e tablet come alibi: “Quando non riusciamo a parlare con i nostri figli, consegniamo loro uno smartphone, un po’ come si faceva con la tv per zittire un capriccio. Bene, così facendo la nostra responsabilità di adulti verso i nostri figli resta. Eccome se resta”.
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