“Questa è la prima volta in tanti anni che ci troviamo in questa situazione. Non ci vergogniamo a dire che un piccolo aiuto come i buoni spesa ci potrebbe fare comodo e anche, simbolicamente, dimostrarci l’abbraccio della città in un momento difficile”. Jessica Petrarolo, trent’anni, ravennate, una decina di giorni fa ha telefonato in Comune per sapere se alla sua famiglia spettano i bonus spesa che vengono erogati a chi ha, a causa dell’emergenza Coronavirus, ha visto un peggioramento delle proprie condizioni lavorative e reddituali.

“Dopo due giorni – racconta la ragazza, mamma di una bimba di tre anni – sono stata ricontattata dalle assistenti sociali, che mi hanno fatto l’istruttoria telefonica, quantificando in 150 euro, cinquanta per ogni membro della famiglia, la cifra che ci spetta in buoni. Siamo in attesa che i volontari ce li lascino nella buchetta della posta“.

Jessica, che viene da dieci anni di lavoro in un salone di parrucchieri in centro, dopo avere avuto sua figlia è andata a sostituire una maternità in un altro negozio: “Il contratto mi è scaduto alla fine di febbraio ma si sarebbe prolungato oltre, se non avessimo dovuto chiudere, perché la collega di cui avevo preso temporaneamente il posto avrebbe continuato con la facoltativa. A questo punto, però, io sono scoperta, oltre al fatto che devo ancora percepire lo stipendio di febbraio”. Per il compagno le cose non vanno molto meglio: “Lavora come metalmeccanico grazie a un’agenzia di lavoro interinale, dunque è precario pure lui: è stato pagato fino a febbraio, ora si parla di cassa integrazione. Insomma, brancoliamo nel buio, consapevoli che abbiamo un mutuo da pagare e una figlia da crescere”.

Jessica ammette che, nel caso le andasse male, la sua famiglia e quella del compagno potrebbero in parte sopperire: “Ma non abbiamo mai voluto approfittare dei nostri genitori, sono anni che lavoriamo e vorremmo continuare con le nostre forze: è anche una questione di dignità”.