Natascia Simeone (la foto risale a qualche anno fa ed è stata scelta per raccontare la “normalità” che si prova a mantenere in TIn a Rimini)

“Siamo convinti che in questo momento le terapie intensive neonatali debbano rimanere aperte, ovviamente con tutte le precauzioni del caso: è impensabile, come è avvenuto da qualche parte, chiuderle”. Natascia Simeone è un’infermiera della Tin dell’ospedale di Rimini, dove la direttrice Gina Ancora e la coordinatrice infermieristica Sandra Lazzari, insieme alla loro équipe, hanno fatto la scelta, nonostante l’isolamento dettato dall’emergenza Coronavirus, di continuare a consentire l’ingresso ai genitori, uno alla volta ma, come prima, 24 ore su 24.

Una decisione in linea con i documenti della Società italiana di neonatologia e che ha come obiettivo la crescita armonica del bambino, che è legata indissolubilmente all’aspetto relazionale: “Se non c’è relazione col genitore, quel bambino non cresce bene. Non solo: il genitore, senza poter avere un contatto col figlio, rischia un aumento di ansia, stress, depressione. Isolare il bambino prematuro, malato o a rischio dalla sua famiglia è un fatto grave e drammatico, lo diciamo da professionisti”.

Motivo per cui, sebbene in Tin operatori e genitori debbano usare le mascherine e igienizzare la mani, la vita continua sostanzialmente uguale a prima: “Sia per quanto riguarda l’allattamento che il contatto pelle a pelle con le mamme e i papà, le nostre routine rimangono invariate a beneficio di tutti. Chiaramente nell’aria c’è paura: i genitori, forse anche per concentrarsi sui bimbi una volta che sono qui dentro, non parlano mai di Coronavirus ma dai loro sguardi si coglie di certo lo spavento”.

A non esserci più, purtroppo, è tutta la parte non verbale: “Non potersi abbracciare e non potere stringere mani sono gesti di cui si sente la mancanza in un reparto come il nostro. Non solo: le mascherine schermano l’espressione di molti stati d’animo e di molti sentimenti ai quali, in genere, siamo molto attenti visto che lavoriamo sulla relazione con le famiglie. Si scorgono, invece, sguardi intimoriti, difficili da interpretare. E si sentono silenzi pesanti, che però raccontano molto dell’angoscia che si respira pensando a ciò che succede intorno, fuori da qui”.

Per non far sentire soli i genitori, continua comunque il sostegno psicologico, anche in molti casi per via telefonica: “Per fortuna è un servizio che prosegue, sebbene con le limitazioni d’obbligo, vista la necessità di mantenere le distanze. Non è scontato: in un momento come questo, che ha reso necessario il trasferimento di alcuni infermieri in altri reparti, io stessa sono più occupata nella parte assistenziale, anche se cerco di non perdere mai di vista la cura della famiglia nel suo complesso”.