Lorenzo, papà ‘portatore’: “La fascia? Il mezzo per sentire e vivere mio figlio”

Lorenzo e Bruno

“Mio figlio piangeva, mia moglie non stava ancora bene dopo un cesareo d’urgenza. Ci avevano regalato una fascia, di quelle elastiche. Credo di averla legata anche parecchio male, leggendo solo il libretto di istruzioni. Fatto sta che Bruno, dopo pochi minuti, si è addormentato”. Si è avvicinato così, al babywearing, Lorenzo Cimatti, dottore commercialista ravennate e padre di un bimbo di 19 mesi, nonché mosca bianca nei gruppi dedicati al “portare”. Ancora oggi, quando passeggia per strada, è abituato ai commenti più disparati: “Sembri una donna africana”, “Ma è un bambino vero?” “Non sei mica un nomade”, “Sei sicuro che il bambino respiri?”. Per fortuna non mancano, qualche volta, i commenti positivi. E lui, con Bruno sulla schiena, continua a macinare chilometri, quelli che quando il figlio era neonato gli consentivano di farlo addormentare alleggerendo per un po’ la mamma. E quelli che ancora oggi gli permettono di tenere il suo piccolo “in un posto sempre accogliente”.

Per Lorenzo, infatti, dopo la rivelazione iniziale la fascia è sempre stata uno strumento – anzi lo strumento – per calmare il figlio ma anche per entrare in relazione e in contatto con lui: “Noi papà siamo in genere esclusi dalle cure dei bambini, specie quando sono molto piccoli. Io, invece, grazie anche a Ylenia che mi ha sempre reso partecipe, non mi sono mai sentito esautorato dal potermi occupare di Bruno. Ho cambiato pannolini, preparato pappe, e passato notti in bianco. E la fascia è stata il mezzo per acquisire fiducia nel rapporto mio figlio, per comprendere che potevo essere perfettamente intercambiabile con la mamma”.

Non ci è voluto tanto, per capirlo: “Le prime volte quasi mi vergognavo, mi sembrava che io e mio figlio sparissimo dentro la fascia. Quando ho colto, invece, che ciò che contava non era vedermi bene con la fascia ma che dovevo vedermi bene con il mio cucciolo addosso, cuore a cuore o sulla schiena, lì è scattato l’amore. Nei gruppi Facebook ai quali sono iscritto mi chiedono ironicamente (ma nemmeno poi tanto…) di organizzare dei corsi per motivare i papà: è un paradosso che gli uomini, che sono quelli che più avrebbero bisogno di usare le fasce, in realtà siano quelli che le usano meno. La percezione è che il ‘portare’ faccia parte di altre culture. Ma si tratta solo di una nostra mancanza“.

Con la fascia Lorenzo ha sempre sentito una forza incredibile: “Abbiamo l’idea che quando il bimbo va in crisi, solo la mamma possa risolvere le cose. Nulla di tutto ciò. La fascia è stata nel nostro caso più potente del seno, perché quando Bruno aveva un fastidio, specie la sera, si calmava solo lì: è stato come rimetterlo nel ventre della mamma, ma c’ero io a portarlo. E ho preso sicurezza nelle mie capacità. Mia moglie l’ha usata, ma solo per sette o otto mesi: dopo, i problemi di schiena le hanno impedito di proseguire, e ora usa saltuariamente un marsupio ergonomico. Quando Bruno aveva solo quattro mesi, io e lui stavamo fuori casa da soli anche mezza giornata. Ad un anno, anche una giornata intera”.

Nel suo percorso, prevalentemente da autodidatta, Lorenzo ha usato vari tipi di supporti (fasce elastiche, marsupi e fasce rigide che ora usa usa quasi esclusivamente), e ha conosciuto la consulente del portare Tullia Della Moglie, che lo ha aiutato molto a crescere tecnicamente e non solo. Per il futuro, spera di continuare ancora a lungo con il babywearing, almeno finché il suo bimbo lo vorrà. E, magari, di essere di “ispirazione” a qualche altro papà.

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