Ragazzi rosa, ragazze blu. La psicologa: “La disforia di genere? La mia casa”

“Lavoro con la disforia di genere da oltre vent’anni: è diventata la mia casa. Sono anche mamma di un adolescente e non nego che da quando ci occupiamo anche di questa fascia di età, lavorare è molto emozionante”. Daniela Anna Nadalin, psicologa psicoterapeuta, porterà la propria esperienza mercoledì 12 dicembre al convegno Bambini e ragazzi che odiano il blu. Bambine e ragazze che odiano il rosa” organizzato dall’Asl di Ferrara (i dettagli qui). Nadalin lavora infatti al Consultorio M.I.T. di Bologna, che in Emilia-Romagna è diventato il servizio di riferimento per quanto riguarda disforia di genere e transessualità. Dal 2016, dopo che per anni si è occupato solo di adulti, il consultorio è diventato anche centro per gli adolescenti: “Lavoriamo in équipe, sia sul fronte della psicoterapia che dell’endocrinologia, seguendo i ragazzi e le ragazze dai quattordici anni in su. Ma accogliamo anche i genitori di figli più piccoli, che magari si sentono smarriti davanti a uno sviluppo atipico dell’identità di genere. Uno dei nostri prossimi obiettivi è lavorare con la Regione per creare una rete che garantisca un’accoglienza a 360 gradi anche ai bambini dai primi anni di età”.

Daniela Anna Nadalin

Nel giro di due anni, sono stati 16 gli adolescenti presi in carico: “Cinque da Bologna, sette dal resto dell’Emilia-Romagna, tre da fuori regione. In tutti i casi, si è trattato di invii congrui, ovvero di minori che effettivamente mostravano una disforia di genere e non solo una varianza di genere, intendendo per quest’ultima una condizione secondo la quale la persona non si colloca all’interno degli stereotipi di genere socialmente condivisi. La presa in carico, concretamente, significa osservazione, sostegno alla famiglia e anche alle reti sociali dei ragazzi, che nella maggior parte delle situazioni si trovano a vivere lo stigma e il pregiudizio”. 

Ben prima del percorso di transizione per cambiare sesso, comunque, la letteratura scientifica dice che i bambini e le bambine che da piccoli sono stati definiti come “gender variant”, da grandi non manifestano più quei comportamenti e quelle caratteristiche: “Ecco perché – spiega Nadalin – bisogna lavorare con gradualità, pazienza a mai in emergenza. L’adolescenza, poi, è un momento di per sé particolare, di confronto e crescita. I ragazzi e le ragazze con la disforia non devono solo fare i conti con quest’ultima ma anche con l’impegno che il periodo adolescenziale si porta con sé. Loro spesso richiedono l’urgenza ma noi dobbiamo procedere con l’accuratezza”.

Quanto ai genitori, secondo Nadalin la cultura ha fatto in questi anni passi in avanti: “Le famiglie arrivano da noi disorientate, bisognose di punti di riferimento e di risposte ma con una consapevolezza piuttosto buona. Riescono a leggere dentro l’argomento della disforia e a portarlo alla nostra attenzione, bisognose d’aiuto. Un tempo, quando lavoravamo solo con gli adulti, ci arrivavano invece storie drammatiche”. E i cambiamenti ci sono stati anche sul fronte medico: “Dall’estate scorsa l’Aifa ha autorizzato la somministrazione dei bloccanti ipotalamici in infanzia e pre-adolescenza, ovviamente in casi particolari e con l’accordo dei genitori. Dai sedici anni in su, invece, si può procedere con le terapie ormonali per la transizione”.

Una delle note dolenti – che è anche motivo del convegno di Ferrara – è la scarsa preparazione di pediatri, neuropsichiatri infantili, medici di base, psicologi: “Manca completamente una formazione su questi argomenti. Durante il percorso universitario ma anche dopo, di rado si incontra il tema dell’identità, della varianza e della disforia di genere”. Ma ci sono anche soddisfazioni incredibili: “Tutti i ragazzi e le ragazze che abbiamo seguito in questi due anni sono stati in grado, in autonomia, di parlare con coordinatori o dirigenti scolastici per il cambio del nome sul registro. Le scuole si sono mostrare ricettive. Ciò non toglie che ci sia ancora tanto lavoro da fare”.

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