Donne e uomini: ecco come usano i social network

Facebook, Twitter: gli uomini come li usano? E le donne? Sarà la web strategist ravennate Alessandra Farabegoli, che nella vita si occupa di indirizzare le aziende all’utilizzo di Internet e quindi anche dei social network, a parlarne lunedì 6 maggio alle 20,30 alla sala “Delle Fabbriche” di Faenza (via Laghi, 81). L’incontro è l’ultimo dell’iniziativa “Donne e uomini: istruzioni per l’uso” organizzato da Sos Donna.
Alessandra, davvero ci sono differenze tra uomini e donne anche sulla rete?
“In parte sì, come nella vita reale. Non esistono silos, ma tendenze che si ritrovano nella quotidianità come nel web”.
Dagli studi che cosa emerge?
“L’ultimo, pubblicato qualche giorno fa, ha analizzato un milione di utenti Facebook, per verificare il numero di amici, come questi variano in base all’età, gli argomenti di cui parlano. Emerge per esempio che gli adolescenti hanno più amici delle adolescenti. Mentre sulle mezze età, il numero di amici in genere si equipara”.

La web strategist Alessandra Farabegoli

E di cosa parlano, gli uomini e le donne, sui social?
“sembrerà uno stereotipo ma mentre gli uomini parlano più di sport e politica, le donne parlano più di salute e relazioni. Così come gli uomini si iscrivo di più alle pagine, mentre le donne commentano di più e mettono più ‘mi piace’”.
Che cosa pensi dell’idea secondo la quale relazionarsi con gli altri attraverso uno schermo isola le persone e snatura i rapporti interpersonali?
“Bisogna sfatare il mito secondo il quale ciò che è naturale è per forza positivo. Comunicare on line non annulla la spontaneità dei rapporti. Ormai si è instaurato questo luogo comune per cui tutta la tecnologia che c’era quando siamo nati fa parte dell’ordine naturale delle cose, tutta quella che è venuta fuori prima di compiere 35 anni è un’affascinante opportunità mentre quella che è emersa dopo va contro la natura”.
E invece?
“In qualsiasi momento della storia dell’umanità ci sono stati avanzamenti in questo senso. Noi conosciamo Socrate attraverso Platone. Eppure ai tempi si diceva che affidare la memoria alla scrittura avrebbe fatto uscire da noi la conoscenza. Peccato che 2.500 anni di cultura occidentale si siano basati del tutto sulla scrittura. Nemmeno scrivere e leggere, nell’antichità, erano cose naturali”.
Però il fatto di mettere in vetrina le proprie vite è positivo?
“Esistono due estremi: la trasparenza assoluta e la riservatezza assoluta. Agli estremi non arriva nessuno, il punto in cui ci posizioniamo dipende da come siamo, da che ruolo abbiamo nella società, da che lavoro facciamo, dal fatto di sentirci a nostro agio nel pubblicare pezzi della nostra vita”.
E le mamme? Sei d’accordo sul fatto di pubblicare le foto dei bambini sui social e postare ruttini, pannolini e varicella?
“Dobbiamo solo essere più consapevoli di quello che facciamo. Se metto una foto su Instagram so che diventerà pubblica. Se la metto in un gruppo privato su Facebook so che la vedranno solo i miei amici”.
Capita però di fare le cose senza pensare, sul web…
“Ma dobbiamo imparare a perdonarci, accettare l’errore. Se un adolescente pubblica una foto di una festa con gli amici nella quale si è ubriacato e un selezionatore usa quell’informazione come rilevante ai fini di un’assunzione dimenticandosi che anche lui, a quell’età, una sbronza l’ha presa, forse davvero quella non è l’azienda giusta. Se invece un adolescente si ubriaca quattro volte alla settimana e continua a pubblicare le foto, c’è un problema. Che qualcuno della rete possa accorgersene e intervenire è una buona cosa. Il problema, in quel caso, non è che ci sono le foto della sbornia su Facebook: ma che quel ragazzo si ubriaca quattro volte alla settimana”.

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