Vi è capitato mai di sentirvi un po’ ostaggio dei vostri figli? Di chiedervi se poi alla fine tutta questa introspezione che ci mettiamo nell’educarli non ci si ritorca un po’ contro?
Sono scaltri, quei piccoli tiranni. Già a 4 anni sono perfettamente in grado di comprendere quando possono metterci all’angolo.
Esempio emblematico: quando siamo in pubblico. Non so voi ma io non amo rimproverarli in mezzo alla gente. Che non vuol dire fargliela passare ma trasferire la violenza verbale di un urlo ben assestato in un paio di sguardi fulminanti. Con la diretta conseguenza che nove volte su dieci l’effetto è pari a quello di un bicchier d’acqua. Quasi nullo.
Pazienza se dopo, tornati a casa, fioccano punizioni e minacce. La riuscita di un rimprovero o di una punizione ben assestata è direttamente proporzionale alla tempestività con cui li dai. Dopo, è passato il santo e pure la festa.
La situazione precipita in una serata d’estate in cui vai a cena fuori. Una cosa veloce, senza stare seduti per ore. “Bimbi, stasera fate i bravi”. Come no…
“Non mangiare con le mani”
“Non avvicinare la bocca al piatto, ci sono le posate cribbio”
“Non alzarti per la decima volta, siamo seduti da dieci minuti”
“Non mangiare con le mani” (perché a casa usi le posate????)
“Non fare i dispetti a tua sorella”
“Lascia il coltello”
“Non urlare”
“Non ti alzare di nuovo!”
“Lascia stare quella bottiglia, la fai cadere”
“Molla il coltello”
A casa, avresti immobilizzato l’intero quartiere con un urlo già al punto due. E lui lo sa. Sarà per questo che decide di avvalersi della facoltà di non ascoltare.
“Lascia stare quella bottiglia, la fai cadere”
“No”
“Lasciala stare”
“No”
“Mettila giù”
“No”
“Ti porto via e non hai il gelato”
“No”
“Mettila giù”
“Mamma abbassa la voce”
“No, tu abbassa la voce”
Ok. Ai miei tempi, tutta sta tiritera non sarebbe avvenuta. La paura di avere un ceffone mi avrebbe bloccato all’istante. E la gente, quella non sarebbe stata un problema. Avrebbe approvato se non applaudito al ceffone.
Oggi siamo tutti figli della teoria ‘si educa ascoltando i figli’. E loro, sta teoria, l’hanno capita anche meglio di noi.
A casa pecoroni ma fuori di casa diventano leoni.
La storia è finita così.
Al quarto molla quella bottiglia l’ho preso per mano e con molto garbo l’ho accompagnato fuori. Ho lasciato babbo e figlia a tavola da soli a finire la cena. Alla frase ‘non avrai il gelato’ è scoppiato il finimondo. Urla disperate ma quel gelato non l’ha mangiato. Neppure io ho mangiato granché perché sono rimasta con lui. Il che mi ha scatenato qualche dubbio sull’efficacia dei nuovi modelli educativi. Sul rischio che i bambini ne abbiamo capito i punti deboli e ci marcino su. Che la strategia dell’ascolto faccia acqua da qualche parte.
Che per punire loro devi punirti un po’ anche tu. Che questi piccoli furbi nascano più psicologi di noi. Che abbiano ingurgitato già nella pancia qualche tomo di Psicologia applicata al pensiero dei genitori: come metterli all’angolo in due mosse.
n.b. tanto per fugarvi ogni dubbio, il quattrenne in questione non viene costretto quotidianamente a estenuanti ore seduto a tavola a cena fuori. Il gelato lo ha avuto solo giorni dopo, quando ha dimostrato di saper anche ascoltare. Quanto a me, ho dormito con i morsi della fame!
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