Donne maltrattate: la sanità di Forlì fa il primo passo

Non sono solo le donne vittime di violenza a negare, a volte, i soprusi subiti. Sono anche gli operatori, per mancanza di cultura sul tema, ad allontanare il problema. Ma a Forlì hanno deciso di non stare più a guardare. Oggi pomeriggio, durante  un incontro pubblico al Morgagni-Pierantoni, si parlerà del nuovo percorso che l’Ausl da qualche mese ha deciso di intraprendere. Patrizia Grementieri, responsabile del processo trasversale di gestione del rischio, racconta come è nata l’esigenza di riflettere su un fenomeno, quello della violenza di genere, sempre in aumento.
Da quali dati siete partiti?
“Fermo restando che le donne che subiscono maltrattamenti spesso non li denunciano, ci siamo resi conto che nei primi nove mesi del 2012 gli accessi al pronto soccorso per violenze di questo tipo sono stati 111. Moltissimi, se si pensa appunto che da questa cifra sono escluse le donne che raccontano di essere cadute dalle scale”.
Che cosa ci raccontano questi 111 accessi?
“Ci dicono che la violenza di genere è un fenomeno trasversale alle culture e ai ceti sociali. Il 60% degli accessi ha riguardato donne italiane, il 40% straniere”.
Come avete pensato di intervenire?
“Costituendo un gruppo di lavoro che raduna allo stesso tavolo operatori sanitari, servizi sociali, forze dell’ordine, volontariato. Entro marzo vogliamo fare la formazione agli operatori. Sempre entro un paio di mesi vogliamo anche portarci a casa un protocollo sulla presa in carico della paziente dal pronto soccorso in poi, fino al supporto da parte del Centro donna”.
Avete trovato resistenze da parte di qualche soggetto?
“No, per fortuna. Quando ti presenti e ti proponi, nessuno ti chiude la porta in faccia. Anche davanti alle 40 sagome della mostra ‘Silent Witness’ allestita in ospedale, dove ognuna riporta il nome di una donna uccisa l’anno precedente, ho sentito riflessioni positive”.
Qual’è la sfida più grande?
“Cambiare la cultura. Per farlo, bisogna mettersi insieme. In genere una donna arriva alla denuncia dopo nove anni di violenze: questo la dice lunga su quanto il tema sia complicato. Non resta che rimboccarsi le maniche e guardarsi intorno per studiare come si stanno muovendo altri territori”.
Da chi prendete spunto?
“Ci appoggiamo all’ospedale Maggiore di Bologna, che da anni lavora come Ab sulla violenza di genere. A Reggio Emilia c’è il punto di supporto per tutti i medici legali. Anche Ferrara ci sarà una mano. Per fare formazione, usiamo i materiali dell’associazione Linea Rosa di Ravenna. Non bisogna inventarsi nulla”.

 

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