“Non so se considerarlo il mio quarto, quinto o sesto figlio”. Maria Silvia Pazzi già dal cognome comunica un’energia rara. Ha appena lasciato il piccolo Dario, quattro mesi, al nido, e dopo l’intervista riprenderà in mano i suoi tre strumenti vitali – computer, chiavetta, cellulare – per lavorare prima che anche Leonardo e Federico, che sono alle medie, rientrino da scuola. Regenesi, l’azienda che ha creato nel 2008 e che è partita a pieno ritmo l’anno dopo, è qualcosa di molto complesso, per quanto stimolante. E di tempo da perdere, ce n’è ben poco. Ravennate, 42 anni, Maria Silvia racconta di avere vissuto almeno due vite. La prima, quella del primo matrimonio e dei primi due figli, faceva rima con laurea in Economia e contratto a tempo indeterminato: “Seguivo i progetti innovativi per la Cna. Un bel lavoro ma che non corrispondeva a quello che avevo sempre sognato, cioè fare la designer. Così mi sono rimessa a studiare. La sera, quando mettevo i bambini a letto, sui libri sognavo di fare l’imprenditrice”. Intanto, per non farsi mancare nulla, Maria Silvia insegnava anche organizzazione aziendale all’Università di Bologna, come professore a contratto. La realizzazione del sogno era più vicina che mai, insomma. Fino a quando l’idea è arrivata. E la seconda vita pure: “Creiamo oggetti di design e accessori di moda con materiale rigenerato. I nostri prodotti non comunicano mai che cosa erano prima”. Un esempio? Maria Silvia ce l’ha addosso: “Questo bracciale è fatto con lenti da occhiali, piuttosto che con bottoni da camicia”. E nessuno lo direbbe mai. Ma Regenesi non c’entra con il riutilizzo come in genere lo si conosce: “Nell’eco-design gli oggetti sono a volte bruttini ma passano perché sono etici. Per noi è il contrario. La nostra ricerca dei materiali si basa tanto sull’estetica, quanto sull’etica. Vogliamo creare cose prima di tutto belle”. Ma le novità non finiscono qui. A livello organizzativo, infatti, Maria Silvia sta attuando un modello ben poco diffuso in Italia: “Siamo un’azienda rete. Se uno guarda, vede solo me e i miei soci. In realtà, c’è tutto un mondo di collaboratori che ci ruota intorno. In ogni ambito, cerchiamo l’eccellenza e sempre nel made in Italy”. Un centinaio sono le persone che lavorano, alla fine, con e per Regenesi: “Abbiamo un buon 40% di donne. Ci estendiamo da Vercelli a Rimini”. Tutto questo ha catturato fin da subito l’attenzione dei media. Solo per citare un caso, il New York Times si è occupato di Regenesi. Il merito va secondo Maria Silvia a diversi fattori: “Collaboriamo con designer molto noti, abbiamo prodotti che saltano all’occhio e siamo forti in diverse esposizioni museali”. In questo momento, per esempio, la Triennale di Milano ha portato alcune creazioni dell’azienda a Shangai, per un’Expo che durerà un anno. Per acquistare i prodotti di Regenesi, però, ci si può affidare anche a internet: “Abbiamo attuato fin da subito la vendita on-line, anche perché è sostenibile, come la nostra mission”. Del resto Regenesi non ha un vero quartier generale, se non una sede operativa a Bologna. Ma le idee chiare, questo sì: “I nostri prodotti sono ecologici sempre. Lo sono prima di essere creati, perché usiamo materiali sani. Lo sono durante. E lo sono anche dopo, perché devono essere buttati nella differenziata”. E il futuro è dietro l’angolo: “Stiamo cercando due partner per il nostro comitato scientifico. Uno del mondo dell’e-commerce, l’altro del settore moda e design”. Le competenze prima di tutto: è questo il motto di Maria Silvia. Che si sta per affacciare sulla sua terza vita: “Devo imparare a mettere dei confini tra il lavoro e il mio privato, anche perché riappropriarsi del proprio tempo serve a far uscire la vena creativa”. Ma il compagno e socio di Maria Silvia, Alfredo Montanari, direttore dell’Alma Graduate School di Bologna, la capirebbe lo stesso: “Quando ci vediamo, la domenica, il suo Blackberry non è mai spento”.
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