Ospitiamo oggi il contributo di Laura, una donna di 35 anni che sta inseguendo, come tanti di voi, il sogno di avere un figlio.

“Hai un endometrio bellissimo: sei pronta”. Ecco, penso, di nuovo ho tutto perfetto e spero sia la volta buona. Già, perché prima di iniziare la Pma (alias la procreazione medicalmente assistita) pensavo che fare un bambino fosse la cosa più semplice del mondo e che se proprio ti fosse andata di sfiga la fecondazione assistita sarebbe stata la carta vincente al primo tentativo.

E invece mi sbagliavo, perché fare un bambino può trasformarsi in un’impresa titanica e se la Pma, è vero, ti apre le porte del sogno, sigla anche l’inizio di un percorso durissimo, durante il quale impari a convivere con sentimenti forti e altalenanti come la paura, il coraggio, lo sconforto, la speranza, il pianto, il riso. I medici, gli esami, le punture, gli ormoni, i prelievi scandiscono la tua vita, ma il desiderio di stringere il tuo piccolino è più forte di qualsiasi altra cosa.

Attraverso la Pma impari a conoscerti nel profondo e a scoprire una forza ed un coraggio che mai avresti pensato di avere. Io, ad esempio, pensavo di essere fifona e debole, mentre ho scoperto che non lo sono affatto e quando il mio compagno mi guarda negli occhi e dice “Sei la donna più forte che abbia mai conosciuto” penso che sia vero e mi dà una gran forza. Perché questo percorso è fatto di mille variabili e mille delusioni, dove un embrione ha appena un 20-25% di probabilità di impiantarsi nell’utero.

Bassa percentuale, vero? In realtà è quella che ogni mese ha una coppia senza problemi di concepire un bambino. Ecco perché ogni volta speri che sia la volta buona. E’ una questione di probabilità dicono i Centri: c’è chi ce la fa alla prima, chi alla seconda e chi deve stringere i denti più a lungo. Ho conosciuto una ragazza che ce l’ha fatta al settimo tentativo e aveva deciso che sarebbe stato l’ultimo. La forza della vita. E con la Pma scopri anche una terminologia che sembra quasi da supermarket: c’è il transfer da freschi (quando ti trasferiscono embrioni appena formati da una stimolazione), il transfer da congelati (gli embrioni conservati formati da una precedente stimolazione) e il pick-up (il prelievo degli ovociti) ed inutile dire che quando passo davanti ai biscottini omonimi sulla scansia del supermercato ho un sussulto. Ma, soprattutto, siamo tante. Insospettabilmente. Un universo parallelo e silenzioso di coppie che inseguono il loro sogno d’amore.

La gente non ci vede e noi non vogliamo essere visti. Noi siamo quelli che alla delicata domanda “Ma voi figli niente?” rispondiamo: “Eh, ma siamo ancora giovani e ce la godiamo”, “Ancora non ci abbiamo pensato”, “Prima o poi ci metteremo all’opera”. In realtà stiamo combattendo la nostra personale, faticosa e logorante battaglia già da tempo e speriamo con tutto il cuore di riuscire presto a stringere tra le braccia il nostro miracolo di vita che per molti èstato un traguardo facile e quasi dovuto, mentre non ci si dovrebbe mai dimenticare che diventare genitori è un dono. Il più bello che ci possa essere fatto.

 

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