Rivoluzionario o semplicemente al passo con i tempi, Michele Vianello quando parla di nuovi modelli di città pensa anche alle famiglie, alle mamme, ai bambini. Il prototipo da lui elaborato, riflesso dell’era digitale che ormai pervade quasi al cento per cento le nostre vite, fa rima anche con conciliazione lavoro-famiglia, occupazione femminile e più voce in capitolo per i genitori. Vianello è direttore generale del Vega Park di Venezia e per Maggioli Editore ha pubblicato “Smart cities“.
Vianello, nella sua città smart la quotidianità delle mamme è più gestibile o continua ad essere una corsa ad ostacoli?
“Sono padre di un bambino di cinque anni, uno dei temi centrali del mio discorso riguarda la liberazione delle città dagli orari e dai luoghi. Siamo abituati a concepire il lavoro e le attività di cura intorno allo schema 8-8-8: otto ore di lavoro, otto per la nostra vita privata, otto per il sonno. Un modello che non è certo figlio delle tavole della legge ma di un’impostazione da tempo superata”.
Significa che Internet ha cambiato solo parte delle nostre vite?
“Internet ci consente di lavorare, di collegarci da qualsiasi parte, di avere accesso ad una miriade di informazioni. Ma le città continuano ad essere organizzate su categorie del Novecento. E siamo ancora obbligati a follie giornaliere: porto il bambino all’asilo, corro al lavoro, lo ripasso a prendere, lo porto dai nonni, torno al lavoro, lo riprendo. Tutto questo è vecchio”.
Quindi ognuno di noi dovrebbe organizzarsi in base alle proprie esigenze?
“Sì, questa è la rivoluzione più forte delle smart cities: è assurdo che tutti debbano timbrare il cartellino alle otto, che le città si intasino ogni mattina per le auto in coda”.
Però ci sono anche professioni che con Internet c’entrano ben poco…
“Si calcola che nel 2016 metà della popolazione lavorerà con Internet. Ho già detto tutto”.
Per le mamme, una smart city sarebbe un cambiamento epocale, positivo e favorevole alla gestione dei figli. Bando agli uffici e sì al lavoro da casa?
“Anche, ma io penso soprattutto a strutture di co-working dove lavorano insieme persone che fanno cose diverse, per aziende diverse. E dove si potrebbero realizzare gli asili, per esempio”.
Il welfare, nel suo modello, è quindi un punto centrale?
“Assolutamente sì. Penso ad un welfare non più basato sull’utente che paga un servizio ma sulla sussidiarietà. Il che attiverebbe nuove relazioni sociali. Mia moglie già lo fa: insieme alle altre mamme ci si scambia favori, tempo”.
Chi è che non capisce la modernità di questi ragionamenti e l’urgenza di una loro applicazione?
“La politica, prima di tutto, anche quando è in buona fede. Al secondo posto le imprese. E poi le persone, perché non lo sanno. Io sto indicando un modello leggero, decontestualizzato, libero”.
Che potrebbe in parte dare un colpo alla disoccupazione, soprattutto femminile?
“Certo. Molte donne potrebbero lavorare, in questo modo. Pensiamo agli enti pubblici, dove l’orario 8-14 è stato pensato per consentire alle donne l’organizzazione della famiglia, facendo loro pagare il prezzo di una dequalificazione. Perché una persona capace, con competenze, deve essere inscatolata in un orario che la porta a percepire un salario più basso? Credo sia un’organizzazione stupida e distorta”.
Le mamme, su Internet, ci sono eccome: siti specifici, blog, forum. Qualcuno le ascolta?
“Pochissimo. Le amministrazioni dovrebbero monitorare costantemente quello che avviene sul web. Se io mi lamento di una certa cosa in un forum, non lo faccio per rompere le scatole ma perché magari ho un’esigenza rispetto alla gestione e alla crescita di mio figlio. Offro quindi suggerimenti e soluzioni ad un problema, in modo gratuito metto a disposizione della collettività idee e competenze”.
Le smart cities sono verdissime. Questo piacerebbe molto alle famiglie…
“Sì, le città vanno ridisegnate. Basta cubature, sempre più si vedono strutture enormi abbandonate. Sì, invece a grandi spazi ricoperti di verde”.
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